Blog di Dante Paolo Ferraris

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Il mio Piemonte: Giarole

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GiaroleColgo l'occasione in una bella giornata soleggiata per visitare un piccolo borgo della mia provincia. Vi sono passato innumerevoli volte, ma sempre senza prestargli quel minimo di attenzione che merita; ero solo colpito dalla maestosità del castello.
Il borgo è posto nella pianura casalese a pochi chilometri dal fiume Po. In lontananza si vede la collina di Pomaro, ove si erge il borgo con il suo castello, invece Giarole è circondato da campi coltivati a risaia.
Il borgo è attraversato dal torrente Grana che pare un rio insignificante, ma quando si arrabbia, si gonfia d'acqua e fa apparire le case che si affacciano sulle sponde quasi una piccola Venezia monferrina.
Vi arrivo dalla strada che giunge da San Salvatore Monferrato, attraversando il cavalca-ferrovia i cui binari uniscono Valenza a Casale Monferrato e purtroppo scarsamente utilizzati dai treni.
Agli onori della cronaca, la stazione ferroviaria di Giarole, poco più di un casello già inutilizzato da tempo, fu scenario nel 1967 della rocambolesca cattura della banda Cavallaro che vi aveva trovato rifugio dopo una rapina a mano armata in una banca di Milano e aver seminato il terrore per le strade ambrosiane uccidendo tre persone e ferendone ventidue.
Prima di entrare nel piccolo paese mi soffermo al suo ingresso ad osservare il grave degrado in cui versa la chiesetta della "Madonna della Consolazione", chiamata la Madonnina, che dà il nome al rione omonimo.
Fu eretta nel 1511, ma già nel 1572 parte del suo materiale laterizio venne utilizzato per riparare la chiesa di San Giacomo. Della chiesetta rimane la semplice facciata a capanna con porta centrale e due finestre laterali. A guardare attraverso una di queste la desolazione è tanta, anche per il tetto crollato e le pareti laterali sfondate.
Su una fabbricato in mattoni a vista, quasi adiacente alla chiesetta, una grande scritta nera su campo bianco recita "Mulino a cilindri", a memoria della grande importanza agricola che ebbe un tempo il borgo.
Segue a poche decine di metri, in via Marconi, dopo una bella villa in stile liberty, una lapide che ricorda il partigiano Mario Talice della XI Divisione Autonoma Patria 43° Brigata, Medaglia d'oro al valor militare, caduto il 31 marzo 1945 a Giarole in uno scontro a fuoco con i soldati tedeschi.
Parcheggiata l'auto sotto i frondosi alberi che coronano un tratto dell'antico fossato del castello, mi accorgo che su un muro di una grande cascina, un tempo proprietà dei castellani, compare una lapide che indica il nome della cascina: Santa Adela, di cui nessuno successivamente interrogato sa dirmi il perché questa particolare dedicazione ad una Santa di origine longobarda.
Prima di entrare nel castello, trovo aperta l'adiacente chiesa, un tempo cappella castrense. La chiesa non versa in ottime condizioni; la sua facciata è intonacata ed è realizzata interamente in laterizio. L'edificio ha la facciata con tetto a capanna e presenta quattro lesene di cui due angolari. Il prospetto tripartito presenta una antica porta centrale a due battenti e due grandi finestre laterali, rettangolari, ai lati.
Sopra la porta, un affresco settecentesco, consumato dal tempo, raffigura San Giacomo, patrono del paese e vi è anche un oculo.
La cappella gentilizia ebbe anche funzioni parrocchiali quando abbandonata l'antica pieve di San Pietro in Glarolae la popolazione si sposò intorno al castello.
Parrebbe, ma non è provato, che la chiesa facesse parte di un monastero e che poi abbandonato il convento fosse stata trasformato in castello e la chiesa in cappella castrense. Ancora attualmente la chiesa è proprietà dei conti di Sannazzaro.
L'interno è a tre navate divisa da robuste colonne. Sull'altare maggiore è presente un importate pala d'altare del Moncalvo, databile intorno alla prima decade del XVII secolo.
Sono presenti altre importanti tele del XVII e XVIII secolo ed alcuni frammenti di affreschi. Sicuramente la chiesa fu officiata da padri domenicani, visto il gran numero di Santi, papi appartenenti a questo Ordine.
Nella cripta della chiesa, mi raccontano, siano conservate le sepolture della famiglia Sannazzaro dal XVI secolo.
Accedo al cortile del castello, dove trovo antistante all'ingresso, un grande tumolo di terra, ricoperto da alberi di tasso. Questa è la copertura di una struttura in mattoni a forma di uovo che un tempo veniva utilizzato come neviera o ghiacciaia. In inverno veniva riempito di ghiaccio a blocchi e neve che ricoperta di paglia, mantenevano fresche le vivande, forse fino a tarda estate.
Per arrivare alla corte interna del castello attraverso un ponticello. Il maniero fu realizzato nel 1200 dai cavalieri di Sannazzaro, che in base a un diploma del 1163, l'Imperatore Federico Barbarossa concedeva a Guido, Burgundio, Assalito e Raineri alcuni privilegi, tra cui costruire un castello ovunque volessero nei loro possedimenti: ubicumque voluerint in possessionibus corum.
Modificato più volte in epoche diverse, contiene strutture ancora originali ed è ancora proprietà ed abitato dai Sannazzaro. Nel passato ha ospitato molte illustre personalità tra i regnanti e principi come i Paleologo marchesi del Monferrato, i duchi di Mantova e Monferrato, il re Carlo Emanuele III di Sardegna con il figlio principe di Piemonte, futuro re Vittorio Amedeo III, re Vittorio Emanuele II con l'imperatore Napoleone III, il duca Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta.
Incontro il padrone di casa che mi farà da guida per la visita al castello. Il vestibolo è fantastico, realizzato in stile goticheggiante, con un ampio finestrone dai vetri colorati giallo e rosso, colori della casata, e presenta un pavimento a mosaico. Su una parete è affrescato un gruppo di cavalieri medioevali, ritraendo i membri della famiglia Sannazzaro fondatori del castello. Vi è riprodotta in latino anche la patente di investitura di Federico di Svevia. Antichi trofei e una volta affrescata con dei putti danzanti completano il grandioso salone d'accesso.
Anche le stanze che vi si affacciano, come la stanza della musica, conservano mobilio originale, ritratti appartenenti alla casata e più recenti fotografie in bianco e nero, antiche carte geografiche e ricordi antichi di viaggi lontani. Anche le sale superiori, sia l'antisalone che la sala da ballo, sono finemente arredate con rossi sofà rotondi, antichi mobili e suppellettili e deliziosi affreschi, dove ovunque è ripetuto lo stemma della casata.
Lo stemma della casata è scaccato di rosso e oro, accollato dall'aquila bicipite nera con ciascuna testa coronata d'oro, tenente con l'artiglio destro una spada e con quello sinistro il bastone di maresciallo. Sul cartiglio il motto di famiglia "In Aeternum".
Nella sala da ballo, sembra aggirarsi il fantasma del giovane pittore torinese Grosso che morì cadendo dall'impalcatura mentre era intento a decorare la sala verso la metà del 1800. Si dice che sia lui a chiudere ed ad aprire le porte delle sale e a divertirsi ad accendere e spegnere le luci del castello.
Un altro fantasma si aggirerebbe per il castello, in particolare nella torre, si tratta di un bambino di 10 anni, Emilio Messura, vissuto nel castello e poi scomparso.
La visita continua con le quattro camere da letto: la camera verde o a fiori, la camera dei pizzi o blu, la camera rosa e camera del baldacchino bianco. Interessante anche il grande guardaroba con la sua collezione di ferri da stiro e le stanze per la toilette.
Nel salottino cinese, ricavato nella torre circolare, ad aspettarci troviamo un magnifico gatto che comodamente sdraiato ci lancia una fuggevole occhiata, senza porre nessun interesse alla nostra presenza.
Uscito nel cortile interno, il padrone di casa prima di salutarmi, ci tiene a farmi sapere che per secoli i nobili di Sannazzaro portarono in processione per il paese, durante la prima domenica del Rosario, dedicata a San Pio V che è ritratto anche in una tela all'interno della chiesa di san Giacomo, una statua lignea della Madonna del Rosario.
Uscito nel magnifico parco, mi aggiro tra tassi, platani, ginkgo e ippocastani, ma anche meravigliosi glicini, rose e altri fiori.
Mentre lascio il castello mi sovviene il recente racconto del Conte, che mi narrava di leggende legate a passaggi segreti che collegavano i vari castelli circostanti, in particolare quello con il castello di Baldesco, già proprietà dei marchesi Natta d'Alfiano cugini dei Sannazzaro e quello verso Pomaro, già residenza dei conti Calvi di Bergolo e della principessa Iolanda di Savoia.
Lentamente mi dirigo verso la chiesa parrocchiale di San Pietro apostolo, non prima di una breve sosta davanti all'Oratorio di San Sebastiano.
Questo Oratorio fu eretto nel XV secolo, assolse anche per un breve periodo la funzione di chiesa parrocchiale, il suo campanile è datato 1762-1764 e oggi funge da campanile della chiesa parrocchiale, addossata all'Oratorio. L'edificio oggi è interdetto al culto. La sua facciata, benché malmessa è imponente e sicuramente in passato era arricchita da affreschi.
A ridosso dell'Oratorio, ma con la facciata rivolta ad una piccola piazzetta, si affaccia la più moderna chiesa parrocchiale di San Pietro apostolo. La sua costruzione inizia nel 1836, dove un tempo si trovava la casa parrocchiale annessa all'Oratorio di San Sebastiano e una cappella sepolcreto.
La sua facciata è neoclassica con ampie ali quadrate, mentre la parte centrale è alta e slanciata divisa da quattro lesene con capitelli corinzi che sorreggono la trabeazione e il triangolare timpano.
Sopra il portale c'è un dipinto murale con San Pietro apostolo.
La chiesa è a pianta a croce greca, nella cupola centrale è raffigurata la Gloria di San Pietro, mentre nei pennacchi sono raffigurati i dottori della chiesa e furono realizzati a metà XIX secolo.
Anche la pala dell'altare maggiore raffigurante la Crocifissione di San Pietro è del XIX secolo. Alla sinistra del presbiterio si apre la cappella della Madonna di Lourdes, ricavata riutilizzando il coro dell'adiacente ex Oratorio di san Sebastiano.
Interessanti le tele presenti nelle cappelle laterali, rispettivamente la seicentesca "Consegna delle chiavi a San Pietro" dell'Alberini e del Boffa e "l'Annunciazione" di scuola del Moncalvo.
Avevo letto che in sagrestia sono conservate importanti settecenteschi reliquari e un quattrocentesco crocifisso processionale di scuola lombarda.
Lascio la chiesa e dopo aver sostato davanti al palazzo municipale, riprendo l'auto e mi dirigo verso il cimitero del paese.
Raggiunto il cimitero, sono sul vecchio luogo ove un tempo sorgeva l'antico abitato di "Grarolis", ora totalmente scomparso, abbandonato quando fu edificato il castello in zona Mogliole che significava terreno acquitrinoso.
Dell'antico borgo rimane la vecchia chiesa parrocchiale, ora chiesa cimiteriale. La chiesa intitolata a San Pietro apostolo era già presente nel 1299 ma di origine ben più antica. L'edificio sacro ha subito nel correre dei secoli molti rimaneggiamenti. La sua facciata è datata 1637 e si presenta anticipata da un portichetto e un bel portone in noce. L'impianto è a navata unica e un ampia abside, che conserva la struttura romanica del XII secolo.
L'abside e le cappelle sono affrescate benché mal conservate. Gli affreschi sono tardo quattrocenteschi quelli recentemente ritrovati e raffigurano Cristo nel sepolcro affiancato da due santi, uno dei quali è San Rocco. Un altro affresco, questa volta settecentesco rappresenta il battesimo di Gesù e fa parte dell'antico battistero.
Lascio Giarole, il sole è ancora alto in cielo e mentre in auto rientro verso casa, ripercorro con la memoria i nomi dei personaggi legati a Giarole, come Oreste Pasquarelli, fotografo che inventò l'obiettivo circolare. Costui nacque nel 1846 ed è considerato uno dei più grandi studiosi di meccanica abbinata alla fotografia. Nel 1894 inventò il fotoperigrafo, una macchina in grado di effettuare foto panoramiche e successivamente un apparecchio, denominato "autofotografico istantaneo", in grado di catturare immagini di diverse dimensione (9x12, 13x18) ed era in grado di imprimere tutte le dodici lastre contenute all'interno in un solo minuto e molte altre invenzioni. Fu anche Direttore del coro del Teatro Regio di Torino, Professore di Canto Corale presso il Liceo Musicale torinese e Sindaco di Giarole nel 1892.
Ma anche il dottor Flavio Valeriani, medico chirurgo nato nel 1840 e morto a Torino nel 1916, valente medico che laureatosi a Torino si perfezionò a Vienna e fu in prima fila a combattere l'epidemia di colera. Fu primario di chirurgia donne dell'ospedale Santo Spirito di Casale Monferrato e autore di numerosi studi scientifici. Interessato alla storia locale, archeologica e numismatica scrisse diverse ricerche sulla Rivista di Storia, arte Archeologia della provincia di Alessandria.
Anche oggi ho concluso una bella giornata alla scoperta di un territorio troppo poco conosciuto e che merita di essere valorizzato.