Blog di Dante Paolo Ferraris

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Il mio Piemonte: Momo

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MomoLa mattinata è iniziata con il segno meno davanti ai numeri che indicano il freddo. Il riscaldamento dell'auto è acceso e l'aria calda sta tentando di sbrinare i vetri. Rimpiango per un attimo il letto da cui da poco sono uscito e dove ero protetto con un soffice piumone. Ma la voglia di uscire era tanta, forse era una necessita ed è sicuramente solo un passo verso la primavera che è ormai alle porte. Ma sono sicuro che un timido sole mi accompagnerà un questo mio girovagare per il Piemonte.
Lasciata l'autostrada e percorso comode strade, già illuminate da un impacciato sole che fatica a scaldare, entro nell'abitato di Momo. Questo Comune del novarese è posto ai confini del terrazzo fluviale del torrente Agogna. Il primo insediamento umano conosciuto in questo luogo è sicuramente di epoca preromana e potrebbe essere di origine celtica, ma fu la sua eccezionale posizione geografica, posta all'incrocio tra la via "Settimia" poi "Francisca" che da Novara, attraverso il Cusio, conduceva ai passi alpini e la medioevale strada pedemontana che collegava il porto sul Ticino di Oleggio con il guado sul Sesia a Carpignano a favorirne lo sviluppo. In epoca romana, quest'area del terrazzo fu soggetta a centuriazione con il frazionamento dei terreni che favori l'insediamento di nuove famiglie e lo sviluppo agricolo. Da questi insediamenti può derivare il toponimo del borgo, forse dal nome gentilizio Mummio, Console romano.
Il primo documento che richiama Momo è datato 7 agosto 892 e tratta di una permuta di terreni tra il Vescovo di Novara, Liuterio e tale Cuniberto. Fu inoltre ritrovata un'ampia necropoli longobarda, in uso dalla fine del VI fino a tutto il VII secolo. Invece è del 1087 la prima citazione di un castello, anche se la sua costruzione è sicuramente precedente. In paese era presente una celebre famiglia novarese, i Capitanei poi divenuti Cattaneo di Momo, detti anche i Cazzaguerra. Nel 1154 il castello e Momo erano controllati dai milanesi che miravano ad espandere i loro possedimenti oltre il Ticino. Con la prima discesa in Italia dell'imperatore Federico Barbarossa il castello di Momo venne distrutto e con l'ingresso del Comune di Novara nella Lega dei Comuni lombardi, quello che era rimasto del castello tornò di proprietà dei Cattaneo che lo riedificarono.
Lo sviluppo di Momo venne rallentato ed addirittura fermato durante le pestilenze del 1339 e del 1347, nonché dal conflitto tra i Visconti e il Marchese del Monferrato, trasformando ripetutamente Momo in un accampamento per soldati di ventura. Anche il secolo XVII, segnò per il piccolo borgo, un periodo nefasto a causa della carestia e della pestilenza, dimezzandone la popolazione. Momo inoltre fu più volte coinvolto nel passaggio di truppe spagnole, francesi, piemontesi e austriache durante la guerra di successione spagnola e quella austriaca. Nel 1931 i comuni di Agnellengo e Alzate furono accorpati a quello di Momo.
Mi dirigo subito in via San Rocco, dove nei pressi del centro sportivo vi è la bella chiesa dedicato al santo protettore dalla pestilenza. Infatti la chiesa di San Rocco fu edificata negli anni Trenta del XVII secolo sul luogo dove esisteva un lazzaretto che dimezzò la popolazione. Questa chiesa fu oggetto di culto ogni qualvolta la comunità di Momo fu oggetto di calamità ed ancora oggi è oggetto di grande attenzione da parte della popolazione locale. La chiesa, anticipata da un piccolo sagrato erboso, presenta un tetto a capanna ed ha un solo ingresso anticipato da alcuni gradini. Di fianco al portale vi sono due piccole finestre e sopra ad esse e sulla porta vi sono affrescati san Rocco e san Sebastiano con la Vergine al centro. Sopra ad un marcapiano vi è un'ampia finestra ad arco tutto sesto. Parcheggio così nei pressi della chiesa parrocchiale intitolata a Natività della Beata Vergine Maria. L'attuale chiesa parrocchiale, un edificio del XVII secolo, sorge sopra un precedente edificio religioso romanico dedicato a "Santa Maria in Castrum vetus" che era la cappella del castello.
Questo edificio fu più volte ampliato e ristrutturato, infatti la facciata è degli inizi del XX secolo e il campanile è stato ricostruito negli anni trenta dello stesso secolo, mentre l'ampliamento interno e decorazioni più consistenti risalgono al XVII secolo. La facciata è molto ampia con tetto a salienti, nelle parti laterali presenta due ordini, mentre in quella centrale tre. La chiesa ha un ampio sagrato e il suo accesso è anticipato da alcuni gradini. In facciata sono presenti molti decori in rilievo, ivi comprese dei profili di teste poste dentro a lunette sopra il primo marcapiano all'altezza delle porte laterali. Un ampio finestrone con arco tutto sesto è posto sotto il frontone.
Nel timpano del frontone è presente un cartiglio con la scritta D.O.M., ossia Deo Optimo Maximo che in latino significa "A (o per mezzo) Dio ottimo massimo, cioè il più buono, il più grande". Entro silenziosamente, nella chiesa non c'è nessuno e l'illuminazione è quasi totalmente assente, ciò non ci impedisce di ammirare una chiesa a tre navate con volte a crociera e i molti stucchi barocchi. Al suo interno sono conservati i Corpi Santi dei patroni San Zeno e Santa Tecla. La storia di queste due reliquie è abbastanza avventurosa. Infatti nel XVI secolo, tale Giovanni Battista Cavagna o meglio Giobatta Cavagna, nato a Momo da una modesta famiglia di contadini, va in servizio a Roma nel palazzo di Gerolamo Mattei, Cardinale della Curia romana. Giobatta volle portare nel suo paese natio, dei corpi di santi che avessero testimoniato con la loro vita la fede in Cristo.
Con notevole spirito d'iniziativa, ottenne dai prefetti delle catacombe di prelevare alcuni Corpi Santi. Nel luglio del 1602, i corpi santi arrivarono a Novara e vennero consegnati al Vescovo, il venerabile Bescapè. Due di questi corpi, quelli di Santa Tecla e Zeno dovevano essere successivamente traslati nella parrocchia di Momo per essere venerati. Si racconta che il Cavagna, fu arrestato a seguito di alcune voci calunniose fatte correre sul suo conto. Solo con l'intercessione del Vescovo di Novara che inviò a Roma il suo vicario, il Cavagna venne rilasciato. Costui aveva maturato una profonda religiosità condivisa dalla moglie, Ortensia De Testis che era legata alla Congregazione delle Orsoline, tanto che fu inviato in Terrasanta, dove il 20 marzo 1612 fu insignito dell'onorificenza di "Cavaliere dell'Ordine Militare del Santo Sepolcro di Gerusalemme", e poi ancora presso l'ospedale di San Giovanni Battista a Roma.
Rientrò definitivamente a Momo nel giugno 1614, accolto come cittadino benemerito. I corpi di questi Santi rimasero a Novara molti anni e solo nel 1615, quando il Vescovo Bescapè si recò a Roma per la canonizzazione di San Carlo Borromeo, suo maestro, ottenne dal pontefice Paolo V, l'autorizzazione a distribuire i corpi dei martiri nelle varie chiese novaresi, purché non si organizzasse nessuna solenne cerimonia. Giunsero così il 15 novembre 1615 le reliquie di San Zeno e Santa Tecla a Momo. Ma il piccolo borgo ha tante altre cose da mostrare ed io inizio il mio girovagare a piedi. In piazza della Libertà, oggi c'è il mercato, ma prima di mettermi ad aggirare tra le bancarelle, mi soffermo sul retro del novecentesco campanile su cui è collocata la lapide con i nome dei militari momesi caduti nella guerra 1940 -1945 e di quelli delle vittime dell'odio nazifascista.
Un altra lapide ricorda i momesi dispersi in guerra in Russia. Mi aggiro nella piazza tra le colorate bancarelle del mercato fino a raggiungere il bel monumento che Momo ha dedicato ai suoi militari caduti durante la guerra 1915 – 1918. Il giorno del mercato è un divertimento per il sottoscritto aggirarsi tra i banchi ad osservare la colorata merce esposta ed ascoltare il chiacchiericcio delle signore che s'incontrano. I banchi che amo di più osservare sono quelli dei generi alimentari; frutta, verdura e salumeria e formaggi. Quando sei in piazza non hai certamente la sensazione di trovarti nel "castrum vetus", castello di Momo. Un tempo questo edificio occupava una vasta area, si narra di una superficie fortificata di circa 11000 metri quadrati. Con un po' di attenzione all'angolo nord – ovest, nei pressi di una fontanella si può vedere un tratto delle mura di cortina, realizzata ancora in ciottoli di fiume, ormai mi pare integrato nelle costruzioni di abitazioni private e la Biblioteca Comunale. Quest'ultimo edificio dovrebbe essere quello che Gerolamo Pescatori donò nel 1608, con un cospicuo lascito alla comunità, per la costruzione di un oratorio, per fondare una scuola per i fanciulli poveri ed ora utilizzato come sede della biblioteca.
La costruzione del castello è sicuramente antecedente all'anno 1000. Negli anni 1132 - 1133, vi fu ospitato l'imperatore Lotario II. La distruzione del castello avvenne nel 1154 per volontà di Federico Barbarossa e fu quasi subito ricostruito, ma nuovamente distrutto durante la guerra del 1357 - 58 fra i Visconti e il Marchese del Monferrato. Ciò che ne rimase fu proprietà dei Cattaneo da Momo, i Barbavara, i Della Porta, i Tornielli, i Visconti di Fontaneto, i Pescatori, i Boniperti, i Caccia e gli Avogadro, ma venendo ormai sempre indicato come "castrum vetus". Sull'angolo della piazza con via Maria Garbarini, all'interno di un cortile privato si possono ancora vedere tratti dell'antico castello. È incredibile pensare come queste mura e questi locali, realizzati in pietrame e mattoni possano raccontarci oltre un millennio di storia.
Nel gironzolare per Momo, intorno a quello che doveva essere il castello non è difficile trovare antichi portoni ad arco con lo stemma araldico dei Cattaneo di Momo, riconoscibile per le tre conchiglie, come in via Garbarini. Sempre in centro, tra le case antiche, ben conservate e moderne trovo la chiesa di san Martino che fu parrocchiale di Momo fino al 1400 circa. Questo edificio Costruito nell'XI secolo in stile romanico appare rimaneggiato. Un tempo al posto della case che l'affiancano vi era il camposanto. Una sua fiancata appare realizzata in ciottoli di fiume posti a spina di pesce con le lesene in mattoni. Si nota subito la sua sopraelevazione avvenuta verso la fine del XVII secolo, sempre in ciottoli e mattoni ma diversamente ordinati. Sono altresì evidenti alcuni tamponamenti soprattutto sull'altra fiancata, segno di demolizioni forse di una navata.
La facciata è intonacata ed è assai spoglia, presenta un solo ingresso, assai semplice ed una finestra rettangolare posta tra la porta e il culmine del tetto a capanna. Accedo alla chiesa, anch'esso assai spoglio e necessitante di restauri. Ha una navata unica e diversi stucchi alle finestre e nelle lesene con i finti capitelli. Raggiungo così la strada statale 229 del Lago d'Orta che attraversa Momo, intitolata nel tratto cittadino a Carlo Boniperti. Vi trovo l'edificio della Scuola Materna o Asilo infantile Maria Luzzini di Momo. Istituto fondato nel 1872 ed eretto in ente morale il 13 marzo 1884. Estinto l'ente l'intero patrimonio passò al Comune di Momo ed oggi e sede di un micro nido e se non erro della Pro Loco.
Sulla strada del ritorno verso l'auto sono incuriosito da un edificio religioso, ormai chiuso che risulta essere stato l'oratorio di San Giuseppe e dell'Addolorata. Ha una facciata semplice con due tonde finestre che affiancano la porta, sopra ad essa due finestre poste l'una sopra l'altra, una rettangolare, le altre con un disegno con spigoli superiori modanati. Un campanile a vela si erge su un lato della facciata. Prima di risalire in auto, percorro a piedi via Andrea Silva, che se non sbaglio doveva essere un tratto della via "Settimia" dove si affacciagli antichi Monasteri di Momo. Si tratta di un complesso di edifici che ospitavano due monasteri delle Umiliate, ora proprietà private. Uno era intitolato a Santa Maria Maddalena dell'Ordine "delle Umiliate di San Benedetto" o "monache bianche", già presente del XIII secolo, il secondo era intitolato a San Bartolomeo ed ospitava dal 1315 le Umiliate provenienti da Agnellengo. Inutile dire che i due monasteri ebbero un importante ruolo economico nella vita del paesi, grazie alla presenza in essi di monache provenienti da famiglie benestanti.
Nel 1543 quando le monache di Santa Maria Maddalena si trasferirono a Novara, si favorì lo sviluppo del monastero di San Bartolomeo. Infatti il monastero subiti diverse modifiche ed ingrandimenti soprattutto nel Seicento con il passaggio all'ordine agostiniano. Una gentile signora che abita in una parte del vecchio Monastero e che trovo intenta a ramazzare la strada davanti a casa e a sistemare i vasi fioriti presenti sul davanzale, mi racconta che una parte dell'ex Monastero, non la sua specifica, presenta un chiostro con alte colonne in serizzo, capitelli ornati, parti di affreschi, un sarcofago medievale. Mentre la chiesetta del monastero si affaccia sulla strada e che trovo coperta da un alta impalcatura è intitolata a San Bartolomeo fu già ristrutturata nel 1617 in stile barocco.
Con il trasferimento delle monache a Novara 1782, ebbe fine le attività monastiche a Momo e nel 1805 gli immobili vennero incamerati e venduti ai privati. È ora di riprendere l'auto ed iniziare a spostarmi dal centro storico alla ricerca di altre piccole ma meravigliose scoperte. Percorrendo la strada statale 229 del Lago d'Orta in direzione Borgomanero, all'altezza di una grande edicola sacra, mi fermo un attimo a guardare ciò che resta della torre campanaria della chiesa dedicata a San Pietro che affiora poco oltre dal tetto di un porticato.
La torre, forse anche utilizzata come punto di avvistamento, è una massiccia costruzione quadrangolare databile alla metà del secolo XI ed è interamente costruita con ciottoli e pietre grossolanamente squadrate. Noto con piacere che è ancora presente la decorazione ad archetti pensili in cotto. Della scomparsa chiesa di San Pietro, si ritiene fosse stata la prima chiesa cristiana del paese. La tradizione vuole che vi fossero locali adibiti ad ospizio, mentre una leggenda narra di un collegamento sotterraneo fino al castello. Devo fare qualche chilometro verso nord per poter vedere un vero gioiello che è la chiesa della Santissima Trinità. Questa chiesa è considerata la maggiore testimonianza di fede, arte e storia del territorio.
La chiesa della Santissima Trinità sorge lungo l'antico tracciato della via "Francisca" che da Novara, attraversava Borgomanero, il lago d'Orta e portava ai valichi alpini dell'Ossola. Era un importante via commerciale ma anche un percorso che i pellegrini facevano per recarsi sulla tomba di san Pietro a Roma. Si narra che fosse stata edificata sui resti di un tempietto precristiano. In epoca medievale era una semplice cappella di sosta per i viandanti. Nel XII - XIII secolo, la cappella fu ricostruita quasi totalmente e prolungata per essere trasformata in "ecclesia". Successive modifiche e restauri come la costruzione della cappella aperta della Madonna del presepe, posta dietro all'abside, che è la prima cosa che vedo arrivandoci.
Purtroppo trovo la chiesa chiusa, debbo così rimembrare una mia precedente visita alla chiesetta, fatta qualche decennio or sono in compagnia di un mio conoscente che faceva il vigile urbano proprio a Momo. Comunque le mura sono realizzate in ciottoli di fiume disposti a spina di pesce ed intervallati da corsi di mattoni. I contrafforti esterni invece sono fatti in laterizio. Anche la massiccia torre campanaria, a pianta quadrata è realizzata con gli stessi materiali della chiesa. La cappella della Madonna del presepe è molto bella, l'affresco che raffigura la Madonna con il bambino è posto e protetto da una nicchia, incorniciata da ricche decorazioni in stucco barocche.
Mentre sulla fiancata della chiesa, nella parte più antica è affrescata anche esternamente con l'immagine di santi, purtroppo necessitanti restauri. Dovrebbero essere san Grato benedicente, Sant'Antonio Abate, San Giulio d'Orta, ed un gigantesco San Cristoforo, mentre la Pietà è posta sopra la porta laterale. La facciata con tetto a capanna è prolungata a tutta altezza con un ampio portico sorretto da due colonne. Questo spazioso vestibolo era un riparo sicuro per pellegrini e viandanti. Il tetto ha una copertura a coppi. La facciata presenta una sola porta d'ingresso e due finestre laterali.
La chiesa si presenta con impianto rettangolare a navata unica, con quattro campate, di cui la prima, sopraelevata, che costituisce il presbiterio. Il suo interno è interamente affrescato e costituiscono una straordinaria documentazione dell'arte novarese dal XI al XVI secolo. Sicuramente artisti di un arte minore rispetto ai grandi maestri dell'epoca, ma di grande pregio stilistico e documentaristico. Ricordo nell'Arco Trionfale l'Angelo annunziante con la Vergine sormontati dalla figura di Dio Padre che invia lo Spirito Santo. Nel Registro superiore vi è Trinità raffigurata all'interno di una mandorla di luce sorretta dagli Angeli. Nel registro intermedio i Dodici Apostoli.
Nelle pareti delle diverse campate è rappresentata la vita di Gesù dalla Visitazione alla Nascita di Gesù fino Crocifissione alla Deposizione. Ma sono anche rappresentate" Le donne al Sepolcro", "Cristo risorto incontra la Madre", "la Cena in Emmaus" e "l'Incredulità di Tommaso". Anche la controfacciata è interamente affrescata con scene del Giudizio universale. Adiacente alla chiesa vi è una costruzione abitativa, un tempo in parte di essa ossia nelle quattro camere, due inferiori e due superiori abitò un eremita, che viveva di elemosine e del lavoro del suo orto. Oggi il locale, ovviamente ampliato nei secoli ospita un ristorante a cui accederò volentieri per ristorarmi.
In un aiola davanti all'ingresso del ristorante vi è un cippo che ricorda intorno alla chiesa l'esercito piemontese pose il campo e si riorganizzo nei giorni 24 e 25 maggio 1849, all'indomani dell'infausta battaglia di Novara. Ricorda inoltre che in questo luogo il nuovo sovrano Vittorio Emanuele II compì i suoi primi atti da Re. Dopo un lauto pasto a Tapulone con polenta e vino rosso dei colli novaresi, riprendo l'auto e rientro verso Momo per recarmi a Linduno e Castelletto. Mentre sono in auto penso alla storia e alla ricetta del Tapulone che ho appena gustato. È un piatto tipico dell'alto novarese e la legenda lo fa nascere a Borgomanero, una cittadina non distante da Momo. Si tratta di carne di asino, "ciapulato" in dialetto "ciapulè" che significa tritato o, tagliuzzato.
La carne macinata a coltello grossolanamente ha una cottura a fuoco lento con un battuto di lardo, un cucchiaio olio d'oliva, sale, verza ed erbe aromatiche, ossia lauro, rosmarino, pepe e aglio. Tutto innaffiato a metà cottura con abbondante vino rosso locale per mantenere la carne morbida e umida. La tradizione popolare racconta che nel XII secolo dei pellegrini di ritorno dai luoghi di venerazione di San Giulio sul Lago d'Orta, affamati, si fermarsi in un luogo disabitato, dove oggi sorge Borgomanero e decisero di sacrificare il loro asino per potersi sfamare. Per attenuarne la durezza della carne, questa fu spezzettata finemente con un coltello e cotta a lungo nel vino.
Superato la ferrovia nel borgo di Momo, con la vicina stazione ferroviaria, mi dirigo in direzione Oleggio. La stazione venne aperta nel 1864 in concomitanza con inaugurazione del tratto Novara-Gozzano della tratta ferrovia in costruzione per Domodossola, completata successivamente, solo nel 1888. Percorro la strada provinciale 17 fino a raggiungere la frazione Castelletto. Si tratta di un piccolo centro abitato tipicamente agricolo, immerso nella pianura novarese. Castelletto ha la sua chiesa parrocchiale e il suo castello. Parcheggio vicino alla chiesa ed inizio a girovagare per il borgo.
La denominazione della frazione lascia intuire l'esistenza di un castello, che infatti raggiungo. Questo è documentato già prima del 1201 con la presenza di un "castellettum" sulla collinetta detta "Monteggio sopra il Terdoppio". Si tratta, ai miei occhi di un vasto edificio a tre piani fuori terra realizzato in mattoni e ciottoli di torrente, largamente usati nelle costruzioni del borgo. L'edificio nel corso dei secoli ha subito diverse ristrutturazioni, sono però evidenti le murature a spina di pesce con tre corsi di ciottoli e uno di mattoni, alcune finestre a sesto acuto e una parte di merlatura ghibellina a coda di rondine risalenti al XIII – XIV secolo. Questo castello ebbe sicuramente un importa ruolo, sia per il controllo dei guadi sul Terdoppio e sull'Agamo. Il borgo ha origini preromane e il suo castello è posto in un luogo importante per il controllo della viabilità e del guado sui facilmente irritabili torrenti che vi confluiscono.
Il castello fu per secoli di proprietà dei Cattaneo e dei loro eredi, mentre successivamente il conte Leonardi lo trasformo in un importante azienda agricola e zootecnica. Lo spiazzo antistante l'attuale ingresso è in ciottoli di fiume. Raggiungo così la nella chiesa parrocchiale, ora sussidiaria, intitolata a Maria Assunta. La chiesa è già citata in documenti del 1349 e nei secoli fu più volte rimaneggiata; infatti la sua facciata in stile neoclassico risale agli anni Trenta del XX secolo. Il suo prospetto è tripartito da lesene, ma solo la parte centrale è suddiviso in due ordini. Nelle ali laterali sono presenti due nicchie con statue, mentre nel primo ordine della parte centrale, un portichetto retto da due colonne in pietra anticipa la porta d'ingresso. Ai lati della porta due finestre ad arco a tutto sesto.
Le finestre sono incorniciate da decorazioni e da un timpano. Il secondo ordine a sua volta è tripartito; al centro vi è un rosone, ai lati invece vi sono nicchie con statue. Un grande frontone conclude il secondo ordine. Sul frontone a questo vi sono collocate tre statue, mentre un angelo con la tromba sono poste alle lesene angolari delle due ali della chiesa. La chiesa è chiusa, ma mi sarà poi raccontato che l'interno è barocco, a seguito delle modifiche seicentesche. Inoltre conserva una lapide a ricordo di Matilde Cattaneo di Castelletto morta nel 1819 e che fu l'ultimo membro della dinastia dei Cattaneo.
A piedi percorro un tratto della strada provinciale e superato il ponte sul Terdoppio, quasi alla confluenza con l'Agamo vi trovo due cippi posti a poca distanza. I cippi ricordano Giovanni Erbetta, Mario Soldà e Sikor Tateladze il Georgiano. Questi due cippi raccontano una storia che li unisce ad un altro partigiano, Pietro Protasoni, uccisi dai repubblichini fascisti la mattina del 24 ottobre 1944. Prima di rientrare a Momo, in auto raggiungo la borgata di Linduno. La strada è sterrata ma ben conservata; la campagna intorno a me è verdissima e il corso del torrente del Terdoppio è incorniciato da una folta vegetazione. La borgata di Linduno conserva nelle sue costruzioni la tipica struttura delle antiche cascine. In questa borgata esiste un interessante oratorio intitolato a Santa Maria a Linduno.
Chiesetta già presente nel 1324 quando vi si trasferirono preti dell'ordine agostiniano, ma che fu più volte rimaneggiata e quella attuale risale alla prima metà del XVII secolo con anche restauri del secolo scorso. Questo oratorio fu in passato anche dedicato a San Nicola. La chiesa ha un sagrato realizzato con un verde prato e la sua facciata ha un tetto a capanna con lesene angolari, una porta e due finestre rettangolari ai lati, un affresco con san Pietro è posto sulla porta. Purtroppo la chiesetta che è ad aula unica con abside semicircolare, è chiusa e non posso ammirarne gli affreschi quattrocenteschi conservati. Avevo avuto modo di apprendere che questi affreschi sono ambientati nell'epoca di loro realizzazione, rendendo ancor più preziosa la rappresentazione anche ai fini storici.
La mia prossima tappa è Alzate che potrei raggiungere proseguendo lungo la strada sterrata, infatti un tempo i due borghi costituivano un unico comune di Alzate con Linduno, ma preferisco passare da Momo, dove vorrei visitare il monumento posto davanti al cimitero. Poco dopo raggiungo il cimitero e nelle aiuole davanti all'ingresso vi è un muretto in pietra che ricorda una cresta montuosa con ai piedi due obici e quattro granate. Il monumento è dedicato ai militari Alpini caduti in tutte le guerre, mentre un'altra targa bronzea ricorda il Rag Boniperti Cav.Uff. Carlo, maggiore degli alpini, medaglia d'argento, comandante del battaglione Saluzzo che combatté sul fronte francese, il fronte orientale, il fronte albano-greco-jugoslavio e il fronte russo da cui non fece più ritorno, in quanto morì nel campo di prigionia di Oranki il 31 marzo 1943.
Nel cuore del monumento vi è incastonato una piccola teca con all'interno un vasetto contenente due pugni di terra: una proveniente dalle sponde del Don, l'altra dai campi di Nikolayewka. Proseguo in direzione Novara, fino a girare sulla mia sinistra e raggiungere l'abitato di Alzate. Arrivatovi, parcheggio nella piazza antistante ai giardini con al centro il monumento ai caduti. Questa frazione ha un toponimo di origine celtico-romana. Mi reco subito ad ammirare il monumento realizzato in memoria dei caduti di Alzate e Linduno nella Grande Guerra. Proseguo la mia passeggiata per via Mazzini, un tempo strada delle Muraglie.
Le case che si affacciano sulla strada sono ben conservate, anche le più antiche e difficilmente raggiungono i tre piani fuori terra. Le case non intonacate mettono in bella vista il rosso dei mattoni e il disegno della fila alternata dei ciottoli di fiume. Sulla strada si affaccia, anticipato da un verde prato l'asilo infantile Mazza, posto in una bellissima villetta, forse di inizio XX secolo. Spesso sulle case più vecchie si trova ancora scritto l'uso di alcuni locali, come Commestibili o Osteria, ma anche Casa del Fascio. Le Affreschi votivi, per lo più scoloriti, sono dipinti su molte case.
Proseguendo e superato una rotonda arrivo in via mulino che prende il nome dalla Riseria di Alzate. Questo è un edificio con torre e colombaia che appartenne agli industriali Travelli che tra il XVIII e il XIX secolo realizzarono la prima fabbrica italiana per la lavorazione del cotone, azionata dalla forza idraulica delle acque provenienti dal vicino cavo. L'edificio fu poi utilizzato come caseificio, mulino e attualmente riseria. Tornato nei presi della mia auto, mi inoltro per via Martiri della Libertà, fino a raggiungere la chiesa che si prospetta su un ampia piazza su cui confluiscono tre strade.
A metà della strada vi è una bellissima edicola, appoggiata su una casa; l'affresco dipinto rappresenta la Madonna con Bambino tra san Pietro e san Lorenzo. Il dipinto è protetto da un portichetto sorretto da due colonne in pietra e sulla mensa antistante l'affresco vi è una tovaglia in pizzo bianco cangiante con sopra due vasi di fiori. La chiesa parrocchiale di Alzate è dedicata a san Lorenzo, fu edificata a fine del XIX secolo su un preesistente edificio religioso e dove un tempo vi era il castello. Il sagrato della chiesa è in ciottolato di fiume e la facciata si presenta assai slanciata, grazie anche agli alti basamenti su cui poggiano le lesene che arrivano fino sotto il frontone. Vi è una sola porta d'accesso sopra il quale vi è una finestra a lunetta.
Sul lato sinistro, sotto un portichetto vi è una cappella affrescata, bisognosa di restauri. Molto bello il campanile, sia per il suo particolare disegno che per le decorazioni della cella campanaria, che della cuspide. È quasi ora di rientrare, ma per vedere Agnellengo devo prima ripassare per Momo e superare il torrente Agogna. Il toponimo Agnellengo è di origine germanica come l'attesta il suffisso – engo. Parcheggio in piazza Umberto I, tra chiesa dedicata ai Santi Nazario e Celso e il castello con il suo massiccio torrione. Il castello di Agnellengo, si mette in evidenza proprio per il tozzo torrione che pare ergersi verso il cielo quasi a voler toccare le nuvole.
Il torrione fu costruito interamente in mattoni per volontà dei Caccia di Mandello nel 1420. Sulla sommità, a circa 20 metri, vi è una decorazione a denti di sega. Il torrione è dotato di colombaia e sul tetto vi è un piccolo campanile a vela. Il castello è quadrangolare, con cortiletto interno, ed era circondato dal fossato fino a fine Ottocento. Ora presenta cortili ed edifici tipici della cascina. Il complesso castrense fu ricostruito dopo la distruzione voluta da Galeazzo Visconti, ma conserva tracce murarie sicuramente risalenti ai secoli XI - XII, quando ospitava l'importante monastero misto degli Umiliati, dediti alla lavorazione e al commercio della lana.
Il castello appartenne anche ai Caccia ed ai Tornielli e grande sviluppo ebbe con le sue pertinenze agricole dal 1549, grazie alle opere di bonifica dei terreni da parte dei Cid, spagnoli che occupavano il territorio. Vi subentrarono i Natta d'Alfiano, proprietari dal 1779 al 1826. La sua funzione agraria continuò anche nel secolo XIX quando la proprietà passò alla famiglia Bono. Invece la chiesa parrocchiale è dedicata ai santi Nazario e Celso e risale ai secoli XV – XVI, con giuspatronato della famiglia Tornielli di Romagnano che avevano il diritto di nominare il parroco. L'attuale edificio si presenta totalmente ristrutturato.
Il sagrato è realizzato interamente in ciottolato di fiume, la facciata con tetto a capanna e campanile sul retro dell'edificio, è divisa in due ordine e tripartita da lesene. La porta d'accesso è anticipata da un seicentesco portichetto. Nel secondo ordine vi è un ampia finestra strombata posta centralmente, ai suoi lati le statue dei due santi titolari. A fianco della chiesa, una lapide bronzea ricorda i caduti di Agnellengo. Faccio due passi a piedi per il borgo, fino a raggiungere il cinquecentesco oratorio di sant'Anna che si presenta, esternamente assi semplice. L'edificio è interamente intonacato, con tetto a capanna, una sola porta frontale d'accesso con un oculo strombato sopra l'ingresso. Ormai si è fatto tardissimo, inizio così a rientrare verso casa, soddisfatto di aver visitato un altro bellissimo borgo piemontese e conosciuto le sue antiche tradizioni.