Blog di Dante Paolo Ferraris

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Viaggio in una terra di mezzo (I parte)

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LampedusaGià all'aeroporto di Palermo si respirava un'aria diversa. Il volo da Milano era persino giunto in anticipo e il tempo di attesa del mio aereo per raggiungere l'isola più grande delle Pelagie era di circa due ore, tanto da permettermi di girare per i negozietti del terminal aeroportuale con tranquillità.
Dopo il check-in con il relativo imbarco dei bagagli sul volo n° IG1803 della Meridiana Fly mi metto tranquillamente seduto su una poltroncina a chattare dall'ipad con gli amici rimasti a lavorare.
Il sole trafigge le vetrate dell'aeroporto mentre mi imbarco sul piccolo ATR 42. Il volo Palermo Lampedusa del nostro turboelica è leggermente agitato e le raffiche di vento si fanno sentire soprattutto per me che sono seduto in coda. Dal finestrino l' isola mi appare subito brulla e le coste particolarmente alte e frastagliate ma fortunatamente l'atterraggio è tranquillo, sulla pista mi accoglie un vento africano dolce e caldo. Rapidamente ritiro il mio bagaglio e attendo fuori dal minuscolo aeroporto l'auto che l'albergo mi ha messo a disposizione.

L'isola di Lampedusa fa parte dell'arcipelago delle isole Pelagie (in siciliano ìsuli Pilaggî). In antichità si chiamavano Pelagies (dal greco antico πελαγος pèlagos, ossia "mare aperto") ed è composto da tre isole situato nel mezzo del Mar Mediterraneo, tra le coste tunisine e siciliane.
Fa strano pensare che due di queste isole politicamente fanno parte dell'Italia, di cui rappresentano la punta meridionale più estrema ma geograficamente (Lampedusa e Lampione) appartengono al continente africano.
L'isola di Lampedusa non è molto grande con i suoi circa 20 km² di superficie ma è comunque la più popolosa delle tre isole (5000 abitanti). La seconda isola per estensione è Linosa, mentre la più piccola è la disabitata Lampione.
Il mio autista prima di condurmi in albergo mi fa fare un breve giro per il centro abitato e da bravo sherpa mi racconta subito che l'isola è l'unico sito in Italia, oltre ad alcune spiagge calabresi, dove si riproducono regolarmente le tartarughe marine Caretta caretta.
Il breve tour, nonostante la stanchezza, mi permette di orientarmi meglio tra i vicoletti della cittadina, e grazie ad Antonio, il nome del mio sherpa lampedusano doc, come ama definirsi, mi faccio portare in albergo uno scooter che mi servirà per i miei spostamenti.
Il mio vuole essere un viaggio di studio e di riposo, per conoscere nuove persone e le loro tradizioni ma anche per comprendere lo spirito di ospitalità che alberga negli isolani che da anni offrono ricovero alle migliaia di migranti che arrivano dalle coste del nordafrica, spinti alla ricerca di un rifugio sicuro scappando più volte dalle antiche e onnipresenti guerre d'Africa ma anche dalla miseria da dove l'Italia e più generalmente l'Europa appaiono loro come la terra promessa o un miraggio da inseguire.
Neanche il tempo di arrivare all'albergo, situato in via Cameroni vicino al campo sportivo e al porto turistico, che lo scooter è già li ad attendermi, mi consegnano il casco ma mi dicono anche di non preoccuparmi che sull'isola non viene usato da nessuno.
L'albergo si chiama O'scia' che vuol dire "fiato mio"ed è il tipico saluto affettuoso dei lampedusani nel mondo. Mi riceve amichevolmente Francesca, che non è lampedusana bensì veneta di Treviso, una ragazza alta, dai capelli scuri, snella e dalle mani affusolate. Spero di farmela amica.
L'Hotel si sviluppa tutto intorno all'atrio, ove una grande fontana decorata con mattonelle bianche e disegni arabeggianti rende tutta la hall molto caratteristica. I colori tenui e riposanti alle pareti fanno da contrasto alla moltitudine di cuscini sparsi ovunque sui divani in ferro battuto. Cartine geografiche e antiche mappe nautiche dell'isola unitamente a foto del secolo scorso ricordano la storia dell'isola e la sua povera economia.
Il tempo di posare i bagagli in camera, rinfrescarsi rapidamente e sono già sullo scooter diretto verso la trattoria "l'Angolo del mare", luogo consigliato da Antonio che frequenterò assiduamente nei miei giorni a Lampedusa.
Il locale non è grandissimo, potrà ospitare si e no una trentina di persone ma è frequentato da abitanti "autoctoni" e questo è garanzia di affidabilità.
Fanno bella mostra nel porto turistico decine di barche da pesca che tutte allineate dimostrano quanto l'economia dell'isola sia basata quasi esclusivamente sulla pesca. Reti e nasse sono ammassate sulla banchina del porto pronte ad essere imbarcate per una nuova pescata in questo splendido mare azzurro che rappresenta una delle maggiori risorse per l'economia isolana.
Il gestore del ristorante mi spiega che la pesca viene praticata con varie tecniche, tra le quali la più diffusa è il "Cianciolo" (una rete a circuizione usata con l'uso di potenti lampade ad acetilene che attirano il pesce); sono poi usate le reti da posta, le nasse, la traina e il conzo o palangaro,chiamato anche palamito, o coffa, o catalana. Questo attrezzo da pesca è utilizzato da molti secoli dai pescatori locali ed è una micidiale trappola con 1000 ami.
Le giornate trascorrono serene tra sole, mare, indimenticabili mangiate di pesce, nuove amicizie e interessanti incontri con volontari di diverse associazioni impegnati nell'assistenza ai migranti. Mi piace girovagare per l'isola alla ricerca di storie di quella solidarietà verso i migranti che tanto i giornali hanno scritto.

Dal punto di vista climatico Lampedusa è un isola che farebbe impazzire il mio collega Matteo, grande appassionato nonché esperto di meteorologia, poiché nonostante la bassa latitudine (siamo sullo stesso parallelo di Sfax), il clima è piacevolmente temperato e sembra non risentire della prossimità del continente africano.
Alla Capitaneria di porto mi spiegano che l'isola è interessata per quasi tutto l'arco dell'anno dall'anticiclone delle Azzorre che per brevi periodi è sostituito dall'anticiclone Euro-Asiatico.
La guida meteorologica scrive che a parità di latitudine altre zone sono soggette a calure estive che a volte superano i 50°C, mentre a Lampedusa raramente le massime di Agosto superano i 40°C.
Non conoscono la neve ma pare che una breve nevicata sia comparsa nel 1942, sicuramente un caso più unico che raro. Le piogge di solito sono scarse, come risulta infatti dalla media di 50giorni /anno. Purtroppo pare si siano concentrati tutti nei giorni della mia permanenza sull'isola.

Un pescatore incontrato al porto vecchio, seduto su una cassetta di legno intento a rammendare una rete, mi ha raccontato di due eventi particolari che accompagnano i tanti misteri dell'isola. Il primo, chiamato dai lampedusani "U Marrobbio", racconta di una marea anomala che nel mese di maggio e più raramente in quello di settembre colpisce le coste dell'isola.
Le guide e i racconti infatti mi confermano che lentamente, e senza preavviso, inizia un'alta marea che dopo diverso tempo, anche ore, raggiunge diversi metri di dislivello; poi nel giro di una manciata di minuti, torna la bassa marea. La differenza di velocità tra questi due movimenti del mare e l'altezza raggiunta dalle acque provoca sempre diversi danni, tutto senza preavviso, e a farne le spese sono sia agli abitanti della terraferma che quelli del mare.
Il mio oste mi racconta che è possibile raccogliere i pesci sulla strada o sulle rocce che disegnano le coste già alte e frastagliate, con ignari turisti non pratici che possono anche trovare la barca "ormeggiata" nel parcheggio delle auto o viceversa l'auto parcheggiata in fondo al porto; gli isolani conoscono e rispettano questo fenomeno misterioso. I testi scientifici letti al mio ritorno provano a dare una risposta a questa stranezza della natura affermando che la marea anomala sia causata da dei maremoti ciclici che avvengono a largo di Lampedusa.
Il secondo fenomeno riguarda uno strano lampeggiare di fulmini, molto spesso non accompagnati da tuoni e da pioggia, che nel mese di ottobre accompagnano le calde notti isolane. Forse il nome di queste isole deriva probabilmente dall'effetto che i lampi dovevano avere a causa dei frequenti temporali nel Mediterraneo che illuminavano le isole rendendole visibili anche da lontano ai naviganti erranti del mare.

Con il mio scooter percorro le numerose stradine dell'isola alla scoperta di tutte le calette e degli antichi Dammusi e devo obbligatoriamente portarmi il k-way, proprio per gli improvvisi sciacquoni che si rovesciano sull'isola. Muovermi con lo scooter mi permette di percorrere brevi tratti di percorsi fuoristrada e vedere così la gariga nei valloni e nelle cale del versante nord, oppure la prateria nei valloni più distanti dall'abitato.
Mettendo per la prima volta il piede a Lampedusa si ha la sensazione di essere arrivati in un deserto. In effetti l'aspetto stepposo, quasi desolante, è uniforme in tutta la parte pianeggiante dell'isola e ciò la rende particolarmente triste. In realtà quest'isola, come ci racconta la sua storia, fino a 160 anni fa era lussureggiante di verde, coperta da fitti boschi di Pino d'Aleppo, ma che l'uomo, grazie al suo meticoloso lavoro di distruzione, è riuscito a devastare.
Rimangono spontanei soltanto alcuni esemplari di Pino d'Aleppo, di Cedro liscio e di Gelso (Morus alba) che durante il mese di giugno - luglio regala gli "scevusi", frutti dolcissimi da cui gli isolani ricavano una buonissima granita.

Mi piace camminare per la steppa per osservare e fotografare la flora autoctona tra cui merita attenzione il Papavero Cornicolato, il Garofano rupicolo, la Spina santa insulare, il Timo arbustivo, l'Euforbia, la Scilla marittima e la Carota delle scogliere. Le strade che percorro sono invece adornate a mo' di cornice di Aglio subvilloso, di Lentisco e della Crucianella maltese, oltre al finocchione selvatico etc.
Negli ambienti salmastri costieri mi soffermo ad ammirare il Papavero delle spiagge, ma anche gli interessanti, perché unici e tipici, Incensaria di Lampedusa, Limonium lopadusanum, e la Carlina di Lampedusa. Ovunque il Cisto a fiori piccoli e il Fiordaliso acaule troneggiano sulle rocce appuntite.
Meritano infine di essere citate due piante che si fanno notare per la loro abbondante presenza: l'agave e il fico d'india che ad alcune strade offrono un aspetto da viale decorato.
Lampedusa nonostante il disboscamento non ha dimenticato il colore verde ed il fitto manto delle erbacee è ravvivato dalle splendide tonalità di rosso, di giallo e di violetto dei fiori. Tutto ciò mi ricorda uno dei miei primi lavori, quello del guardiacaccia, e il mio girovagare per boschi e campi delle mie colline del Monferrato o della piana della "fraschetta".

Non posso non soffermarmi ad ammirare le scogliere e le calette di Cala Calandra e Cala Greca ma anche il panorama da Capo Grecale con il suo faro che mi fa sovvenire una famosa pubblicità di una nota marca di pasta italiana. Peccato che una piccola discarica di materiale inerte proveniente da qualche recente restauro di abitazioni rovini parzialmente il paesaggio.

L'Isola si presenta militarizzata e vi trovi Polizia, Guardia di Finanza, Carabinieri, Esercito, Aereonautica militare oltreché la Guardia Costiera, oltre a diversi Vigili del Fuoco, tutti inviati sull'isola per fronteggiare gli sbarchi dei migranti clandestini. Ciò la fa apparire in guerra e tutte queste divise, forse troppe, rappresentano un problema per l'isola e i suoi abitanti, quindi meno appetibile dal turista.
Vi sono aree inavvicinabili, guardate militarmente a vista e non sono solo le aree destinate alla difesa del territorio italiano, infatti siamo al punto più a sud della nostra nazione, ma sono anche interdette intere aree dell'isola trasformate in "centri di accoglienza", vere e proprie prigioni per i clandestini in attesa di essere trasferiti sulla terraferma se richiedenti asilo o rimpatriati verso i loro paesi d'origine o provenienza.

Ho modo di incontrare Marco e Alessandro, due volontari del C.I.S.O.M. (Corpo Italiano di Soccorso dell'Ordine di Malta ), che da febbraio a ottobre di ogni anno collaborano con la Guardia Costiera e con la Guardia di Finanza, imbarcati sulle motovedette per portare assistenza e soccorso ai turisti in difficoltà in mare ma anche a dare soccorso ai migranti che tentano di arrivare in Italia su delle barche da pesca che sono vere e proprie carrette del mare. Indossano una divisa rossa e bianca che li distingue dalle uniformi militari. Con loro operano anche dei militari dello (S.M.O.M.), ausiliari dell'Esercito che per questo motivo vestono la mimetica. Sono medici che prestano volontariamente e gratuitamente la loro opera in questo difficile e importante compito di solidarietà.
Mi ritroverò molte volte con Marco e Alessandro, il primo tecnico di laboratorio il secondo finanziere, sia perché mi unisce a loro la mia personale amicizia con Mauro Casinghini, loro Direttore Nazionale C.I.S.O.M., sia perché oltre ad essere piacevole la compagnia, sono fonte per me di utili notizie per il mio studio ma altresì la loro umanità mi permette di entrare in contatto con la storia di molti migranti e di arricchire il mio bagaglio culturale.

Ci ritroviamo solitamente all'ora di colazione, oppure dopo cena quando hanno finito il servizio per bere una birra al Glenadin Pub di via Roma, oppure mentre si godono qualche ora di riposo e possiamo prendere un aperitivo insieme. Ogni tanto incontro nei vari locali il personale del Dipartimento della Protezione civile che gira sull'isola a bordo di potenti fuoristrada Massif della Iveco, nuovi di pacca. Non conosco personalmente nessuna di queste persone, pertanto non ho motivo di avvicinarmici.

Ho modo di assistere ad uno sbarco di un centinaio di migranti, che giunti a bordo di vere carrette del mare scortate dalle motovedette della Guardia costiera e della Guarda di finanza, vengono assistiti dal personale dell'Ordine di Malta mentre vengono aiutate nello sbarco da decine di poliziotti, carabinieri, marinai ecc.. nonché da diverse organizzazioni di volontariato presenti sull'isola tra cui Medici senza Frontiere e la Croce Rossa. Sono presenti sempre ad ogni sbarco sia personale delle Nazioni Unite facenti parte dell'U.N.H.C.R.. (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) e del' O.I.M (International Organization for migration).
Dopo essere stati assistiti nello sbarco e aver ricevuto i primi soccorsi, se necessari, vengono fatti salire su dei pullman per essere condotti ai centri di accoglienza. Un'ambulanza dell'ASL con personale medico si fa invece carico di trasportare gli eventuali feriti o donne incinte presso strutture mediche adeguate o anche chi, stremato dal lungo e periglioso viaggio, collassa a terra appena sbarcato.

Le ore plumbee le passo con gli abitanti dell'isola a farmi raccontare antiche storie o a leggere articoli e testi che narrano la storia locale apprendendo qualche curiosità quale quella narrata dal primo documento storico, datato 1430, quando Alfonso V° d'Aragona, Re di Napoli, premia il proprio cameriere personale, Giovanni De Caro dei Borboni di Montechiaro, concedendogli i diritti sull'isola.

Degna di nota anche la vicenda che vide protagonista nel 1551 l'ammiraglio Andrea Doria e i suoi soldati che alla guida di una flotta di Carlo V fu inviato a capo di una spedizione contro i pirati tunisini. Al termine di questa operazione, dopo aver distrutto la roccaforte di Mekdia, dovette fare sosta a Lampedusa a causa di una tempesta e molti uomini dell'equipaggio decisero di stabilirsi sull'isola. Scelta non troppo felice, poiché due anni dopo furono catturati e deportati in schiavitù dai medesimi pirati tunisini combattuti in precedenza.

Seduto su una panchina sulla spiaggia del porto vecchio, all'ombra di tre spelacchiate palme penso all'economia di Lampedusa che si basa principalmente sul turismo, sulla pesca, sull'industria conserviera del pesce azzurro e marginalmente sull'agricoltura e la pastorizia; marginalmente, perché coloro che in passato avevano origini contadine hanno scoperto la vocazione del mare, abbandonando così quasi del tutto l'agricoltura.
La piccola industria conserviera e la lavorazione del pesce sott'olio è molto accurata. Il pesce inscatolato a Lampedusa è solo pesce appena pescato e per la sua conservazione si utilizza soltanto olio di oliva vergine. Le latte sono singolarmente sigillate a macchina con la stagnatura a freddo.
Un tempo le Pelagie erano autosufficienti per quanto riguarda i prodotti agricoli; oggi se ne importano in grande quantità dalla Sicilia.

Il commercio delle spugne che un tempo richiamava commercianti da molti paesi del Mediterraneo, sembra oggi che vada anch'esso ad estinguersi per problemi relativi ai metodi di pesca utilizzati. Sono ancora diversi i negozi che vendono spugne in via Roma. Spugne dalle varie forme e tonalità di giallo e ocra, ciò li rendono particolarmente belle ed attraggono il turista a fermarsi in questi negozietti dal gusto retrò che li rende tipici ed unici.



Fine I parte.