Blog di Dante Paolo Ferraris

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Il mio Piemonte: Olcenengo

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OlcenengoIl vento sussurra il silenzio e il verde esplode in ogni via. Lo sguardo assonnato mi chiede perché ho assecondato la sveglia, ma la voglia della scoperta e tanta. Intanto l'azzurro in cielo si spande e presto lo conquisterà. La macchina sfreccia ormai in autostrada e poco dopo mi trovo tra le risaie del vercellese. Oggi mi dirigo a Olcenengo e da Vercelli pecorrono circa una decina di chilometri in un bel rettilineo in cui a destra e a sinistra della strada si alternano risaie e macchie verdi di alberi che segnano i corsi d'acqua e i fontanili. In lontananza il campanile di Olcenengo pare circondato da un enorme laguna.
Questo mi crea un senso di immenso spazio d'acqua, interrotto solo da campanili e filari d'alberi ma soprattutto evidenzia come la pianura vercellese sia dedita alla monocoltura risicola, al cosiddetto "oro bianco". Ripercorro brevemente la storia di questo comune. Alcuni storici ipotizzano che Olcenengo fosse un sito longobardo, ma non si sono ritrovamenti archeologici se non il toponimo con il suffisso -engo di origine germanica, altri lo fanno derivare dal gentilizio latino Aucenia da nome di persona Aucia, certo è che nel 964 è documentato come Auzeningo. In questo documento è ricordato come il suo territorio fu devastato da orde di Ungari dove nella vicina Vercelli già gli ungari avevano fatto saccheggio, uccidendo altresì il vescovo e tutto il clero.
Il feudo fu investito dall'Imperatore Federico Barbarossa nel 1152 ai conti di Biandrate agli Avogadro di Quinto e poi divenuti Avogadro di Olcenigo nel XIV secolo staccandosi dal ramo di Quinto. Ad inizio XV secolo Olcenengo si sottomise ai Savoia. Dopo l'estinzione degli Avogadro di Olcenigo il luogo nel 1596 fu investito a Eusebio Arona per passare ai Raspa e in ultimo nel 1722 al conte Francesco Antonio Ricca di Castelvecchio della casata di Bricherasio. Il castello di Olcenengo, costruito verso la fine del XIII secolo pur essendo concepito come residenza fortificata fu un importante strumento di protezione degli abitanti che potevano impegnarsi nell'attività agricola, favorita sia dal territorio pianeggiante che dalla disponibilità di acque.
Mi soffermo prima di entrare in paese davanti all'ingresso del cimitero per ammirare alcune opere d'arte. Sulla facciata del cimitero sono posti due tondi in rame sbalzato, di grandi dimensioni, che rappresentano la morte e la resurrezione, opera dello scultore Franco Arrigoni. Nei pressi del cimitero c'e una delle sei magnifiche croci delle rogazioni che l'Amministrazione ha posto sulle strade di accesso al paese, in ricordo delle antiche croci che proteggevano gli abitanti del borgo e le loro coltivazioni. Anche queste croci sono opera dello scultore Franco Arrigoni. Nel giardino davanti al camposanto vi è un monumento realizzato su una lastra di granito che ricorda i caduti per la Patria. Raggiungo il paese e parcheggio nei pressi della chiesa parrocchiale. Questa è intitolata ai Santi Quirico e Giulitta. E non si conosce la data della sua prima edificazione.
Fu abbattuta nel 1929 la pericolante chiesa del XII secolo in stile romanico. L'attuale chiesa fu consacrata nel 1933, mentre solo nel dopoguerra il vecchio campanile fu ricostruito. La facciata della chiesa con tetto a salienti è divisa in due ordini; il primo tripartito da lesene presenta tre porte d'accesso, quelle laterale più piccole di quella centrale e sormontate da finestre ovali, mentre il portone centrale presenta un portale con due belle colonne ai lati che sorreggono un timpano semicircolare. Nel secondo ordine, presente solo nella parte centrale, leggere lesene lo tripartiscono, la parte centrale presenta un oculo strombato. L'edificio esternamente è privo di statue. Il grande frontone conserva nel suo interno un ulteriore timpano triangolare con una lapide dedicatoria con festoni ai lati.
All'interno dell'edificio a tre navate, su un antico muro incluso nella nuova costruzione è conservato un affresco raffigurante Gesù deposto dalla Croce, forse del XV secolo. La particolarità dell'affresco e che è segnato da colpi di martello come se qualcuno avesse voluto deturpare o distruggere l'affresco con intenzioni sacrileghe. Una tradizione raccolta da Don Cristiano Formaggio ed è anche scritta in "OLCENENGO: un paese che è diventato il mio paese racconta che il braccio destro del sacrilego ricadde inerte e l'uomo non riuscì più a rialzarlo, mentre il martello gli sfuggi dalla mano rimanendo paralizzata. Sul piccolo ma bel sagrato della chiesa si erge un monumento a San Domenico Savio eretto negli anni Sessanta del secolo scorso.
Nel girovagare noto molti bei antichi portoni, molti con incisi sulle architravi date del Settecento. Raggiungo la piccola piazza Pajetta dove vi è una bella e particolare fontana pubblica detta della "sgorgia" diventata il simbolo del paese, Si tratta di una fontana con una riproduzione di un airone cenerino ad ali spiegate, uccello tipico delle risaie, sul bordo della vasca una rana sprizza uno zampillo d'acqua. Mi si racconta che un tempo, neanche tanto lontano al posto della piazzetta c'era una chiesetta. Nel mio girovagare mi trovo in un ampio spiazzo ove si affaccia il palazzo comunale e l'ex casa del fascio. Quest'ultimo è un edificio, ristrutturato e ampliato, oggi sede di un centro polifunzionale ove hanno luogo anche molti eventi culturali.
Il restauro ha mantenuto lo stile architettonico di stampo fascista ed è tipico dell'ordine classicista dei primi del Novecento rappresentando un edificio di notevole valenza storica. Mentre il Palazzo Comunale risale alla fine dell'Ottocento e presenta due piani fuori terra, ospita la farmacia e sulla facciata c'e una lapide che ricorda i caduti nella prima e seconda guerra mondiale. L'edificio comunale è chiuso e mi si dice che nell'atrio vi è lo stemma del comune e l'allegoria dei lavori campi nei realizzati sempre su rame, realizzate con la tecnica a sbalzo dall'artista Franco Arrigoni. Vicino al palazzo municipale c'è un edificio che ospitava l'asilo infantile intitolato a Margherita Perazzo. Costei nel 1930 disponeva per testamento la realizzazione di un asilo secondo criteri moderni ed il figlio ne eseguiva la volontà materna. Attualmente l''edificio ospita delle Associazioni culturali e sportive locali.
Continuo nel mio girovagare e la presenza dell'acqua è costante anche dove non c'e. Infatti è ricordata nei tanti pozzi presenti e nelle piccole targhe marmoree che li ricordano come quella che recita "1873 pozzo forato – sistema Delpiano Peruchetti" o l'edificio che ricorda la sede l'Associazione d'irrigazione. Raggiungo via Quinto, dove all'ingresso della cascina Pallanza vi è una scultura con una lapide realizzata dallo scultore locale Franco Arrigoni, un vero e proprio monumento dedicato a Carlo Angela. Costui nacque il 9 gennaio 1875 in questa cascina e fu un insigne psichiatra, Direttore della clinica psichiatrica di San Maurizio Canavesee.
Il prof. Carlo Angela fu attivo della Resistenza civile durante la seconda guerra mondiale nascondendo e proteggendo ebrei e perseguitati politici salvandoli dalla deportazione. Un attività che lo vede tra i "Giusti tra le Nazioni" titolo conferito dallo Stato di Israele. Il monumento fu inaugurato in occasione deli130 anni dell' anniversario della nascita dai figli Sandra e Piero Angela che hanno scoperto il monumento. Il figlio,Piero Angela fu un noto conduttore televisivo e divulgatore scientifico. Sempre a piedi raggiungo il castello che risale al XIII secolo. Apparteneva alla famiglia degli Avogadro di Quinto che poi divennero Avogadro di Olcenengo. Il castello forse come quello di Quinto era sotto il controllo della fazione guelfa degli Avogadro.
Quando gli Avogadro di Olcenengo si spensero nel 1596, i Savoia investirono del castello e del piccolo feudo ad Eusebio Arona. Con l'estinzione degli Arona la proprietà nel 1722, passò ai signori Ricca. Il castello aveva una cappella castrense intitolata a San Giovanni Battista, ancora citata nell'elenco dei benefici ecclesiastici della Curia di Vercelli del 1440. Ora il castello ha pochi ambienti adibiti a casa colonica. Il castello si presenta molto rimaneggiato ed ha una torre quadrata e resti di merli bifidi, murati in seguito alla sopraelevazione. Il prossimo mio obiettivo non è molto lontano da qui, ma preferisco tornare a prendere l'auto per recarmici.
Tornando verso l'auto ricordo un famoso persoggio di Olcenengo, ossia l'ammiraglio Pietro Zancardi. Costui vi nacque nel 1912 entrò nell'Accademia Navale di Livorno nel 1930 e ne uscì con grado di Guardiamarina nel 1933. La sua vita fu segnata per sempre dal tragico evento del 1941, che gli valse la medaglia d'argento al valor militare. Era il 28 Marzo 1941, Zancardi era imbarcato sul regio cacciatorpediniere Vittorio Alfieri, prima come Direttore di tiro poi Ufficiale in 2a quando a Capo Matapan nelle acque greche il suo cacciatorpediniere "viene attaccato nottetempo da preponderanti forze nemiche" e affondato.
Il Zancardi si salva su una zattera con altri marinai rimanendoci per cinque notti e quattro giorni fino al 2 Aprile quando vennero salvati dalla nave ospedale Gradisca e fu trasportato all'ospedale militare di Messina. La Medaglia d'argento al V.M. gli fu conferita con la seguente motovazioni "... all'atto dell'abbandono della nave prestava la sua opera per il salvataggio dell'equipaggio e sulla zattera dava ogni assistenza ai compagni che incoraggiava durante la lunga attesa del soccorso". Dal 1955 al 1957 fu destinato all'Accademia Navale di Livorno quale Direttore dei Corsi Ufficiali; successivamente a Roma allo Stato Maggiore Marina. L'Ammiraglio di Squadra Pietro Zancardi si spense nel Gennaio 2007.
Raggiungo cosi la chiesa del beato Pietro Levita che si erge in aperta campagna in un area sistemata a parco. La chiesa ha una pianta a forma ottagonale. Presenta delle vetrate a colori e quella centrale vi è raffigurato la figura del Beato. La chiesa è oggetto di un voto degli olcenenghesi nel 1484 durante una grande epidemia di peste ed ancora oggi la chiesetta è oggetto di pellegrinaggio. Nel 1864 si costruì una cappella in onore di San Pietro Levita in memoria dell'antico voto ad opera di alcuni benefattori L'attuale edificio risale al 1974 in quanto quella precedente fu distrutta da una alluvione nel novembre 1968. Nei pressi della chiesa vi è una di quelle croci delle rogazioni di Franco Arrigoni e vi è anche un mulino con la sua antica pala in buone condizioni.
Non mi resta che raggiungere la frazione di Strella dove vi è anche la stazione ferroviaria di Olcenengo; la raggiungo percorrendo la strada provinciale 50. Questa stazione che venne attivata il 1º luglio 1915 è ormai solo una fermata ferroviaria posta sulla linea Torino-Milano. Entro in questa piccola frazione che un tempo era attraversata dalla strada provinciale, ora con la costruzione del cavalcaferrovia è rimasta pressoché isolata. Faccio una breve passeggiata tra le case di campagna di Strella, da dietro i cancelli i cani mi osservano, qualcuno lancia un abbaio. Un bel gatto grigio tigrato pare aspettarmi sull'ingresso della chiesetta del borgo dedicata a San Giovanni Battista. Si tratta di una chiesetta semplice con tetto a capanna, unica porta centrale e ampia finestra a lunetta al centro. È ovviamente chiusa e il gatto-guardiano non mi ha mai perso di vista.
Le cascine indicano come in tutta Olcenengo l'attività economica prevalente è la risicoltura, ma ovviamente non mancano le attività artigianali. Nel borgo di Strella vi è un vecchio ristorante, ormai totalmente abbondanato, con le persiane rotte e la serranda d'ingresso arrugginita e anche divelta. Chissà durante la monda del riso quanti avventori vi transitavano. Riesco ad immaginare, gli uomini che dopo la messa domenicale, con il vestito buono, camicia bianca, giacca e panciotto, immancabile cappello sulla testa che vanno al bar a bere un bicchiere di vino e a fare una partita a carte in attesa che la moglie prepari il pranzo. Con questi pensieri d'altri tempi lascio Olcenengo e rientro verso casa.