La scelta di celebrare il Giorno della Memoria ogni 27 gennaio è in ricordo del 27 gennaio 1945 quando le truppe dell'Armata Rossa, impegnate nell'operazione Vistola-Oder liberarono il campo di concentramento di Auschwitz. Giustamente ricordiamo in tale giorno le vittime di un olocausto voluto dai nazisti con la complicità di fascisti, ustascia, ecc... che sterminarono migliaia di persone, non solo ebree come spesso l'intendiamo. Infatti una differenza da tenere a mente è che con la parola Shoah si fa riferimento esclusivamente allo sterminio del popolo ebraico, mentre con il termine Olocausto si indicano anche le altre vittime della violenza del regime nazista.
Ma anche in altri nazioni vi sono giornate della memoria, per alcune stragi che vi furono compiute. Una di questi ricorrenze e che purtroppo ci coinvolge è il "giorno della Memoria" in Etiopia. Un crimine compiuto dal fascismo italiano durante la campagna coloniale del 1935 – 1943.
Ripercorriamo gli eventi: Il 19 febbraio del 1937 le truppe e i coloni italiani compirono uno dei più feroci e raccapriccianti crimini della storia italiana: il massacro di Addis Abeba, una strage di decine di migliaia di persone come rappresaglia di massa a seguito di un fallito attentato ai danni del vicerè Rodolfo Graziani, noto come "il macellaio". Infatti il 19 febbraio 1937 ad Addis Abeba due ragazzi eritrei, Abraham Deboch e Mogus Asghedom, lanciarono delle bombe verso le autorità, ferendo il generale Rodolfo Graziani, durante una cerimonia presso il recinto del Piccolo Ghebì del Palazzo Guenete Leul di Addis Abeba.
L'attentato causò la morte di sette persone e il ferimento di circa cinquanta persone presenti, tra cui Graziani, i generali Aurelio Liotta e Italo Gariboldi, il vice-governatore generale Arnaldo Petretti e il governatore di Addis Abeba Alfredo Siniscalchi. Il generale ordinò al segretario federale Guido Cortese di impartire agli etiopi una "lezione indimenticabile". Per tre giorni le camicie nere, civili italiani e ascari libici devastarono la capitale e le campagne, uccidendo migliaia di etiopi.
La responsabilità politica delle rappresaglia fu assunta dal ministro Lessona, che la sera del 19 febbraio telegrafò a Graziani: «Prima che si diffonda possibile senso di eccitazione tra elementi abissini alla notizia dell'attentato di Addis Abeba sono sicuro fin da ora adotterà le più rigorose misure che appariranno localmente necessarie». Il rapporto ufficiale di Graziani riferisce di mille morti ma le stime etiopi parlano di 30 mila.
Anche Mussolini dichiarò «Nessuno dei fermi già effettuati e di quelli che si faranno deve essere rilasciato senza mio ordine. Tutti i civili e religiosi comunque sospetti devono essere passati per le armi e senza indugi», non perdendo l'occasione per rinnovare l'invito ad intervenire violentemente. Inoltre, il 21 febbraio, allo stesso Mussolini quando giunse anche la notizia che le truppe di ras Destà erano state sgominate a Goggetti, dispose un ordine categorico e spietato: «La popolazione maschile di Goggetti di età superiore ai 18 anni deve essere passata per le armi e il paese distrutto».
Cortese emise successivante il seguente ordine: «Camerati! Ordino che dalle ore 12 di oggi 21 febbraio XV cessi qualsiasi atto di rappresaglia. Alle ore 21:30 i fascisti debbono ritirarsi nelle proprie abitazioni. Severissimi provvedimenti saranno presi contro i trasgressori. [...]» ciò su richiesta di Graziani che intimò al federale di porre fine alle rappresaglie, minacciando di affidare ai carabinieri il ripristino dell'ordine, atto chiaramente non dovuto a bontà ma semplicemente per dimostrare al Duce di avere la situazione sottocontrollo.
Infatti, nei giorni successivi furono messe in atto le prime, superficiali e frettolose, indagini sull'attentato, dirette dall'avvocato militare generale Olivieri. Contro Abraham Debotch e Mogus Asghedom emersero subito prove concrete, ma le autorità italiane non potevano accettare che la responsabilità di un attentato che aveva colpito così duramente il prestigio italiano, potesse ricadere su due soli uomini eritrei e per di più latitanti.
Un rapporto dei carabinieri affermava che la responsabilità era da attribuirsi agli allievi della scuola militare di Olettà, che furono considerati «[...] i soli idonei ad attuare, con mezzi tecnici e di natura bellica, l'attentato», e al movimento dei Giovani Etiopi, che «sono gli intellettualoidi portati al fanatismo politico», protetti dai personaggi autorevoli etiopici. Questa impostazione fu accettata da Olivieri, che nella sua relazione, oltre alle conclusioni dei carabinieri, venne aggiunto l'elemento caro alla propaganda del regime fascista, ossia la complicità dei servizi segreti britannici.
Su queste basi il 26 febbraio vennero fucilati i primi 45 abissini e altri 26 nei giorni seguenti; tra di loro c'erano Giovani Etiopi e allievi di Olettà assieme a esponenti del passato regime del Negus. Fu deciso che i capi Ahmara o Amara, un gruppo etnico dell'Etiopia centrale, dovessero scomparire e Graziani, con l'avallo di Mussolini, dispose la deportazione immediata in Italia per duecento notabili arrestati subito dopo l'attentato, scampati alla fucilazione per la totale assenza di prove contro di loro; mentre altri due o trecento etiopi raggiunsero l'Asinara, luogo di confino del regime fascista (nei giorni successivi) come la Principessa etiope Woizero Romanework.
Non soddisfatti fu ordinato al generale Pietro Maletti di "punire la città conventuale di Debrà Libanòs, una città santa per i copti, sospettati di aver dato ospitalità agli attentatori. Tra il 18 e il 27 maggio furono massacrati monaci, pellegrini, diaconi ecc... Non furono risparmiati neanche i bambini che insieme ai civili furono condotti in una gola distante qualche chilometro, allineati lungo il precipizio e assassinati a colpi di mitragliatrice e scaraventati vivi o morti giù dal burrone.
Dai dispacci di Graziani inviati a Mussolini, il Prof Angelo Del Boca, studioso delle vicende dell'Africa italiana, aveva calcolato 449 morti ma alcuni sopralluoghi ed interviste fatte dagli storici dell'Università di Nairobi e addis Abeba fanno oscillare tra i 1400 e i 2000 morti circa. Il Vicerè inoltre aveva istituito anche lager per gli etiopi dove trasferisce gli uomini; uno a Danane a sud di Mogadisco in Somalia e l'altro sull'isola di Nocra in Etiopia.
Sempre dai documenti del Prof. Del Boca che ha studiato i diari del Colonnello Mazzucchetti, comandante del campo di Danane dalla fine del 1937, annotava come questa massa di prigionieri fosse costretta a sopravvivere sotto il sole africano e dormire senza alcun riparo la notte. Ciò portò alla morte moltissime persone sia per la fame che per la dissenteria. Il professore tra l'altro nei suoi scritti ci tiene a precisare che il Colonnello Mazzucchetti fu l'unico a dimostrare umanità nei confronti di questi poveracci, costruendogli una infermeria.
Rodolfo Graziani nella sua repressione alla resistenza etiope non volle far rimpiangere Badoglio che aveva debuttato sulla scena africana a fine novembre 1935, due mesi dopo l'inizio dell'aggressione italiana in Etiopia. L'esigenza di avere un successo lampo da parte del governo fascista, mentre la Società delle Nazioni studiava quali sanzioni imporre all'Italia, convinse Mussolini a sostituire il capo delle operazioni militari del fronte settentrionale in Etiopia.
Al generale Emilio de Bono, ritenuto troppo esitante, gli succedette il Pietro Badoglio , eroe della prima guerra mondiale. La guerra accelerò rapidamente e mutò massacri in quando Badoglio iniziò far largo uso di Solfuro di etile biclorurato, un gas già sperimentato nella prima guerra mondiale e tragicamente noto come Yprite, dalla città belga di Ypres dove fu usato per la prima volta dai tedeschi. Gas che causò la morte di migliaia di persone per le ustioni, vesciche ed infezioni che causava. Le selvagge repressioni del Vicerè Graziani, cominciate il 19 febbraio e concluse a maggio con l'eccidio di Debra Libanos, non fiaccarono la resistenza etiope e nella seconda metà di agosto, come risposta alla repressione venne proclamata una guerra santa, letteralmente "patriota".
Nella regione del Lasta si sviluppò una vasta rivolta della popolazione abissina, che venne soffocata il 19 settembre con l'intervento di 13 battaglioni dell'esercito e molte truppe irregolari, catturando e in seguito decapitando il capo della rivolta Degiac ossia il comandante Hailù Chebbedè e la sua testa fu infilzata su un palo ed esposta nella piazza del mercato di Socotà e Quoram.
Con questo barbaro spettacolo si concluse la permanenza di Graziani in Etiopia, sostituito a metà novembre da Amedeo di Savoia. Gli Italiani che conoscevano l'Etiopia e il suo conflitto, solo attraverso la propaganda fascista dalle pagine delle riviste patinate, giornali, radio e Cinema, che propagandavano la campagna d'Etiopia come la conquista di un "posto al sole".
I mezzi di comunicazione di massa furono tutti mobilitati al servizio dell'impresa coloniale. Gli italiani furono sommersi da una alluvione di messaggi relativi alla necessità dell'intervento militare in Africa. Il notiziario radiofonico andò in onda con sei edizioni e i cinema proiettarono circa 140 cinegiornali interamente dedicati alla guerra vittoriosa o alla fondazione dell'impero. Per quanto riguarda la stampa, devo ricordare soprattutto le celebri tavole illustrate della "Domenica del Corriere" e la rivista per bambini "Il Corriere dei piccoli" che facevano grande uso di fumetti e vignette sulla grandezza dell'impresa italiana. Ma anche manifesti e cartoline postali ebbero un ruolo importante nella propaganda di regime.
L'Etiopia veniva descritta anche come una specie di "paradiso sessuale", identificata come un luogo in cui il maschio italiano avrebbe potuto facilmente appagare tutti i propri desideri erotici, ma questa è un'altra storia poco edificante da trattare successivamente. Benchè le pagine di storia scolastica non ne parli o ne fa solo accenno diversi libri furono scritti su questo argomento.
Cito: "L'attentato a Graziani, in Gli italiani in Africa Orientale - vol. 3. La caduta dell'Impero", Milano, Mondadori, 1996, di Angelo Del Boca,; "Lo sfascio dell'impero. Gli italiani in Etiopia 1936-1941", Roma-Bari, Editori Laterza, 2008 di Matteo Dominioni; "Le guerre italiane 1935-1943", Milano, Einaudi, 2008 di Giorgio Rochat; " Italiani, brava gente?", Vicenza, Neri Pozza, 2014 di Angelo Del Boca; "Le guerre italiane in Libia e in Etiopia dal 1896 al 1939", Udine, Gaspari Editore, 2009 di Giorgio Rochat.
Nell'ottobre 2006, in Italia ci fu inoltre una proposta di legge per l'istituzione, nel giorno 19 febbraio, del "Giorno della memoria in ricordo delle vittime africane durante l'occupazione coloniale italiana", che però si arenò a causa della caduta del governo.