Blog di Dante Paolo Ferraris

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Triora, un borgo ligure da scoprire - I parte

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TrioraStamattina il cielo è leggermente velato da capricciose nuvole che portano con sé un venticello fresco e frizzante. La mia levataccia mattutina trova così un soffio d'aria fresca che mi accarezza il volto. Lascio la mia città ancora sonnacchiosa per recarmi al visitare un borgo assai lontano.
Triora è uno dei borghi più belli d'Italia, incastonato dell'Alta Valle Argentina, sull'antica Via del sale. Un tempo fu considerata anche granaio della Repubblica di Genova. Il borgo è circondato da corsi d'acqua, il principale è il torrente Argentina e da una rigogliosa vegetazione.
L'alta valle Argentina, secondo gli studiosi, risulta abitata fin dalla più lontana antichità da piccole tribù che avevano trovato rifugio all'interno di grotte. Infatti alcuni resti archeologici testimoniano la presenza di vita umana già nel periodo del Neolitico medio, collocabile all'incirca tra il 3800 e il 3000 a.C. Gli abitanti delle tribù liguri, forse i Liguri Montani, che si sottomisero all'Impero romano dopo lunghe lotte.
Durante il periodo imperiale il borgo godette di particolare prosperità e nel IV secolo con l'arrivo a Triora di San Marcellino, primo vescovo di Embrun in Francia e dei suoi compagni Vincenzo e Donnino, tutto il territorio Intemelio, Ingauno e dell'alta valle Argentina venne evangelizzata. Nel periodo delle invasioni barbariche e saracene Triora e l'alta valle vide aumentare il numero dei suoi abitanti a causa del fatto che i residenti della sottostante riviera si rifugiarono sulle vicine montagne per scampare alle devastazioni. Comunque nel 730 un gruppetto di arabi saccheggiò e incendiò il paese di Triora.
Il borgo nei secoli successivi subì diverse devastazioni e seguì la storia feudale dell'intera area alpina, ciò fino all'annessione alla repubblica di Genova. In questo periodo, apparentemente tranquillo, vi furono diverse sollevazioni popolari contro il governo dei Dogi per l'eccessivo prelievo fiscale. Il borgo subì diversi terremoti, tra cui quello del 20 luglio 1564 che devastò il Ponente ligure e il Nizzardo ed a Triora vi si ebbero numerose case rovinate dal sisma. Nel 1625 truppe franco-piemontesi posero l'assedio a Triora, dove trovarono la popolazione triorese decisa a resistere ad oltranza, opponendo una eroica e disperata resistenza.
Il 20 agosto, quando i trioresi stavano per arrendersi giunsero a Triora delle truppe provenienti da Taggia, Porto Maurizio e Sanremo che costrinsero gli assedianti a ad abbandonare il territorio. Ancora per tutto il 1672 il territorio di Triora divenne teatro di una serie di sanguinosi scontri militari tra le truppe piemontesi e quelle genovesi, nel corso dei quali le campagne vennero pesantemente devastate e le case, saccheggiate e messe a ferro e fuoco.
Invece nel 1745, durante la guerra di successione austriaca, Triora venne occupata da un corpo di spedizione spagnolo. L'annessione del la Repubblica di Genova al Regno sardo avvenne con il trattato di Vienna del 9 giugno 1815. Nello stesso anno il territorio del Regno di Sardegna fu diviso in province: Triora venne inclusa nella provincia di Nizza, a cui sarebbe rimasta legata amministrativamente fino al 1860. Da qui in poi Triora seguirà le sorti dell'Italia intera. Ormai ho lasciato l'autostrada alle spalle e in auto mi inizio a inerpicare lungo la strada 548 che segue il torrente Fora di Taggia.
Il borgo antico di Triora è caratteristico e nessun visitatore non è rimasto ammagliato, suggestionato dai caruggi e dalle suggestive case in pietra dai tetti in ardesia. Questa romantica cornice che sembra accogliermi è stato lo scenario di una lugubre vicenda iniziata nell'estate del lontano 1588 e conclusasi l'anno seguente. Vi ebbe luogo uno dei più tragici processi per stregoneria. Fu un dramma in cui andò in scena il peggio del pregiudizio, stupidità e superstizione, tutto legato al fanatismo religioso imperante a quei tempi.
Queste donne, presunte streghe, erano di umili origini, abitavano alla "Cabotina", il quartiere più povero del paese. Ma ne rimasero coinvolte anche donne di condizione sociale più elevata, dove forse l'invidia e la cattiveria la fecero da padrone. La mancanza di pioggia, secondo la superstizione ormai consolidata, venne attribuita a un sortilegio e si cominciò la ricerca del capro espiatorio. Ovviamente l'ignoranza, le dicerie e il pettegolezzo ebbero facile gioco in questo ambito.
Su sollecitazione del podestà Stefano Carrega e di una parte della popolazione benestante e bigotta, giunsero a Triora, sia il vicario inquisitoriale che il vicario del vescovo di Albenga Gerolamo Dal Pozzo. Costoro erano convinti dell'esistenza della stregoneria e del sabba. Durante la messa presso la chiesa parrocchiale, i celebranti invitarono le popolazioni del luogo alla delazione su ogni atto di presunta stregoneria. Le richieste vennero accolte e condussero a una serie di accuse a catena incontrollate nei confronti di diverse donne, soprattutto dovute alle forti tensioni sociali esistenti in paese.
Le indagini furono sommarie, ma spietati furono gli interrogatori effettuati anche con l'ausilio della tortura che misero sotto inchiesta oltre quaranta donne e un uomo, che stremati dalle torture, confessarono di essere autori di malefici e di infanticidi. I trioresi erano convinti che a provocare, siccità, tempeste e carestie, far morire donne gravide, bambini e bestiame fossero delle streghe che compivano empie attività sessuali con il demonio durante i loro sabba.
Tra queste presunte streghe arrestate, la sessantenne Isotta Stella morì a causa dei tormenti subiti, mentre un'altra donna cadde dalla finestra ma presumibilmente vi si gettò, forse di un vano tentativo di fuga. Ovviamente si disse che la donna che era caduta dalla finestra e si era suicidata su istigazione del diavolo. Ciò spinse il Consiglio degli Anziani, nel gennaio del 1588, a chiedere al doge di Genova la sospensione dei processi e la revoca dell'incarico a Dal Pozzo e l'intervento dell'Inquisitore generale. Costui visitò Triora, ottenendo il rilascio di una delle accusate, si trattava di una ragazzina di tredici anni che aveva confessato e che abiurò pubblicamente in chiesa.
Inoltre il Vescovo gli intimò di liberare le donne di rango più alto per evitare problemi con le famiglie più influenti. Gli eventi precipitarono con l'arrivo di Giulio Scribani, commissario nominato dal governo genovese che mosso da sproporzionato zelo, promosse una caccia alle streghe, coinvolgendo anche i paesi vicini a Triora. Ciò provocò numerosi nuovi arresti e la richiesta della pena capitale per alcune imputate. Ciò non convinse il governo genovese che intervenne affidando all'uditore Serafino Petrozzi l'incarico di rivedere i processi e di verificare l'agire dello Scribani.
Al Petrozzi furono affiancati alcuni giureconsulti che però convennero con lo Scribani, convinsero anche il Petrozzi, che invece, aveva sollevato qualche perplessità. Pierina di Badalucco e Gentile da Castelvittorio vennero pertanto giustiziate. La caccia alle streghe ormai era fuori controllo e l'Inquisizione genovese, nell'estate 1588, decise di agire rivendicando la sua competenza esclusiva sulla vicenda e trasferendo le accusate nelle prigioni di Genova.
Ciò avvenne poco prima di dar corso alle sentenze contro cinque donne accusate di stregoneria per impiccagione e conseguente bruciatura dei cadaveri da eseguirsi quattro a Triora o ad Andagna e una a Castelfranco. Le prime accusate ad arrivare a Genova furono tredici donne, quattro bambine e un bambino insieme a un uomo che vennero rinchiusi nella torre grimaldina. Tutta la documentazione fu inviata a Roma all'esame della Congregazione del Sant'Uffizio e il segretario del Sant'Uffizio, dopo avere letto i verbali, accusò i giudici locali di «inumanità et crudeltà». Le presunte streghe, allontanante da Triora ritrattarono le loro confessioni, estorte sotto tortura.
Le sentenze finali, emesse tra 1589 e 1590, vide una parte delle inquisite condannate all'abiura e a leggere alcune penitenze, una parte fu rilasciata e l'unico uomo messo sotto accusa, Biagio de Cagne, fu condannato anch'egli all'abiura. Questi eventi drammatici fotografano con una certa esattezza un clima culturale, soprattutto nelle vita contadina, che in qualche modo era rimasto legato ad antiche credenze pagane, sincretizzando il cristianesimo.
Un misto di superstizioni, cure ancestrali, ritenuti riti pagani condussero a gratuita violenza che ancora oggi fanno inorridire. Prima di entrare in paese mi soffermo alla chiesa della Madonna delle Grazie del secolo XVII, alla quale gli abitanti della zona inferiore di Triora sono molto affezionati. La chiesa ha fattezze semplici con tetto a capanna, recentemente restaurata, riesco a sbirciare dalle finestre al suo interno dove riesco ad ammirare la pala lignea d'altare raffigurante Cristo risorto ed altri Santi, dipinta nel 1621 dal triorese, Battista Gastaldi. Poco distante in via Cianfregheo vi è l'antica chiesetta della Madonna del Buon Viaggio.
Proseguo per la strada provinciale n°52 fino a passare davanti ad un gruppo di case dove un tempo si apriva nelle antica mura cittadine Porta Anfossa, distrutta poi nel 1874. Oggi nei suoi pressi vi è un noto ristorante. Le antiche e alte costruzioni in pietra, in parte dirute erano antiche casa-forti che proteggevano l'abitato.
Parcheggio l'auto lungo la strada provinciale e mi inoltro a piedi verso la chiesa di San Bernardino. La strada è sterrata, leggermente in discesa, costeggiata da coltivazioni e prati, supero la cappelletta, in parte diroccata di San Siro, raggiungo la chiesa campestre del XII secolo intitolata a San Bernardino. Si tratta di una importante chiesa, costruita lungo la mulattiera che univa Triora a Loreto in onore del santo senese che venne a Triora nel 1418.
L'edificio è in restauro, quindi non ho l'occasione per vedere i suoi affreschi medievali della Scuola del Canavesio per i quali è stata anche dichiarata monumento nazionale. Esternamente è caratterizzata da un portico a tre arcate con capitelli cubici. Questo portico è sicuramente edificato postumo ed è databile nel XV secolo. Un tempo vi era una costruzione ove vi abitarono anche i frati francescani, mentre era in costruzione il loro convento nel borgo.
Rientrato sulla provinciale, in auto proseguo per il centro del borgo di Triora. Lungo questo breve percorso, noterò poi in seguito che un campanile è inglobato all'interno di un più moderno edificio, è ciò che rimane della chiesa e del convento francescano distrutta nel 1879 che fu anche utilizzata come caserma e poi colonia alpina dopo l'allontanamento dei frati.
Una curva a gomito, ha permesso la costruzione di piazza Cav. Francesco Bronda. Nota localmente come piazza Elena, regina d'Italia. La piazza è dedicata al colonnello Bronda che oltre a distinguersi come militare fu anche Sindaco di Triora. Nella piazza si erge il monumento ai caduti della prima guerra mondiale, realizzato in marmo grezzo su cui sono scolpiti i nomi delle più significative battaglie. Il monumento è sormontato da un aquila bronzea dalle ali spiegate. Ai piedi del monumento vi sono due grossi proiettili austriaci da 205 e numerosi altri bossoli sono infissi tra i blocchi di pietra.
Su un marmo sono incisi i nomi dei caduti. Le pietre e i marmi furono trasportati in loco da prigionieri austriaci detenuti sia a Taggia che a Triora. Su un muraglione lungo corso Italia sono collocate delle lapidi che ricordano i caduti Militari e civili della guerra 1940 – 1945, un altra ricorda i partigiani e i civili uccisi dai nazifascisti tra il 1944 e il 1945 e un ulteriore con bassorilievo ricorda il triorese colonnello brigadiere cav. Francesco Bronda.
Superato l'edificio comunale che fu sede dell'albergo Triora, parcheggio sotto una fila di Bagolari e da questa posizione posso godere uno splendido panorama sulla vallata. Su un muraglione vi è un moderno, grande e bel murales dedicato a Triora, alle attività agricole e ovviamente alle streghe. Subito dopo si erge un grande edificio che ospitò l'ospedale e che presenta caratteristici portici in pietra squadrata. L'edificio conserva una antica porta che era parte della chiesa di San Pietro.
Di fronte all'ex Ospedale e alla sua fontana dove sgorga freschissima acqua, vi è il museo etnografico e della stregoneria. Ha aperto da pochi minuti e colgo subito l'occasione per visitarlo. Il museo racconta la vita dei contadini su queste montagne da sempre caratterizzata da una serie di sfide e difficoltà legate alla geografia montuosa, al clima, e alle condizioni economiche e sociali in ogni epoca. Attrezzi ma anche riproduzioni di ambienti e condizioni di vita. Le case erano costruite in pietra e spesso avevano tetti di legno e lose.
Le condizioni abitative erano spartane: le abitazioni erano generalmente fredde e umide, con poche aperture per evitare la dispersione del calore durante l'inverno. L'agricoltura era l'attività principale, ma era limitata dalla natura montuosa del territorio. I contadini praticavano la coltivazione in terreni terrazzati per sfruttare al meglio lo spazio disponibile
Le principali colture erano cereali come grano, orzo e segale, insieme a legumi e verdure, ma a Triora erano e sono ancora presenti pochi ma preziosi vitigni come il dolcetto da cui si produce l'Ormeasco, un vino rosso robusto, ma vi si produceva anche vini bianchi da vitigni: massarda e Moscatello. L'allevamento era fondamentale per l'economia rurale: pecore, capre, e bovini erano allevati per la carne, il latte, la lana e il cuoio. Tutto questo è raccontato con dovizia di particolari e oggettistica all'interno del Museo.
I boschi erano una risorsa cruciale sia per il legname utilizzato per costruzioni e per il riscaldamento ed il suo sottobosco forniva cibo come funghi. Le castagne erano usate come alimento di base e la raccolta di legna da ardere e il pascolo erano attività comuni, tanto da esser regolamentate per evitare il sovra-sfruttamento delle risorse. La vita dei trioresi era in gran parte autosufficiente.
Oltre a coltivare le terre per ricavarne il proprio cibo, i contadini producevano strumenti agricoli, tessuti e altri beni di prima necessità. Il baratto era una pratica comune e la dieta era semplice e composta principalmente da castagne, cereali, legumi e verdure, con poche proteine animali.
Nelle stanze museale che ti riportano indietro nel tempo è dato spazio anche anche all'animale "principe" delle attività contadine, il mulo e l'asino. Il mulo in particolare era utilizzato per il trasporto dei raccolti, utilizzato per i collegamenti lungo le mulattiere ecc… Il museo ricorda come la religione giocasse un ruolo centrale nella vita dei contadini. La chiesa era il fulcro della comunità, fornendo non solo una guida spirituale ma anche assistenza in tempi di difficoltà, come durante le carestie o le epidemie.
Le festività religiose scandivano il ritmo della vita quotidiana, offrendo occasioni di pausa dal duro lavoro. La vita sui monti era dura e incerta, non solo per le difficoltà climatiche, come gli inverni rigidi e le estati secche, potevano compromettere i raccolti, ma anche per le guerre, i passaggi di eserciti e le malattie, le cui cure mediche erano limitate e si rimandava spesso alle cure di guaritrici.
Il museo ricorda anche i personaggi più illustri di Triora come il colonnello brigadiere Francesco Bronda che si distinse durante la guerra di Libia e nella prima guerra mondiale e che fu sindaco di Triora o del generale Francesco Tamagni, medaglia d'oro nella guerra di Tripolitania e nel corso della prima guerra mondiale.
Un importante spazio viene dato alle attività ludiche di un tempo, dai giochi fanciulleschi agli strumenti musicali che allietavano le feste rallegrando la vita del paese. Non poteva mancare la storia delle "Bàgiue" ossia delle streghe, ma anche la tragica storia delle povere donne trioresi accusate di stregoneria ed alcune anche condannate a morte. Vi si trova riprodotte anche le piccole ed umide celle e i terribili strumenti di tortura, come il cavalletto ed ogni altro tipo di supplizio. Viene così riportata la storia di una di queste donne, Franchetta Borelli che fortunatamente, dopo le torture ed essere stara esorcizzata fu liberata e divenne il simbolo della caccia alle streghe. Costei morì alcuni anni dopo, il 2 gennaio 1595 e cristianamente sepolta.



Fine I parte.