Blog di Dante Paolo Ferraris

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Baghdad: una missione apparentemente impossibile (V parte)

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Missione Baghdad Tutta la delegazione incontra il generale Blaunt (U.S. Army) al Palestine, Hotel nel centro Baghdad, diventato sede del comando alleato.
Davanti all'albergo, circondato da filo spinato, carri armati e nidi di mitragliatrici ovunque, una moltitudine di persone si accalca alla ricerca di chissà quale permesso o favore da chiedere.
Ci avviciniamo, strappando ogni centimetro a questa moltitudine di persone, tutti iracheni o quasi. Stringo forte i documenti e nel tentativo di raggiungere l'ingresso mi sento sfilare dalla tasca chiusa il portafoglio. Mi giro di scatto, fortemente irritato e gesticolo con chi era vicino a me, ma tutti alzano le mani scuotendo la testa dimostrando di aver compreso l'accaduto, ma non riesco a recuperare il portafoglio. Una grande rabbia mi assale, intanto mi sento impotente, i colleghi ormai sono avanti e non riesco a farmi sentire da loro, ma poi anche se mi sentissero cosa possono fare?: NULLA, NULLA, sono migliaia intorno a me, non esiste uno Stato, c'è la guerra e non esiste una polizia, almeno come possiamo immaginarla noi occidentali.
La rabbia non è per il furto dei soldi e dei documenti (cosa mi sono portato da fare la carta di credito, in un paese in guerra!), ma perché mi sono fatto fregare come un "pollo", io fiero del mio essere mandrogno. Cerco con rassegnazione di raggiungere i colleghi dentro il Palestine.
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Con il pensiero verso Haiti (IV ed ultima parte)

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Haiti è l'isola che non c'è, quella di Peter Pan, quella dei sogni infranti. Quella del bambino che non voleva mai crescere, eppure Haiti esiste, è reale, con tutta la sua storia, le sue tragedie, il suo continuare a lottare.
Un' isola dimenticata fino a quel disgraziato 12 gennaio ora è piena di volontari e militari in divisa, da sembrare in guerra da quanto è militarizzata.
Ma ci sono anche i volontari haitiani che vivono nei campi improvvisati e che devono sostenere loro stessi e contemporaneamente aiutare i loro connazionali. Sono orgogliosi di essere haitiani, lavorano e collaborano con le migliaia di operatori internazionali provenienti da tutto il mondo e nascondono le proprie difficoltà con la voglia di essere uguali ai soccorritori d'oltremare anche senza le scintillanti auto delle O.N.G. presenti, indossando, quando possono permettersela, una misera pettorina con il nome della loro organizzazione.
La preoccupazione di tutti è rivolta all'imminente inizio della stagione delle piogge, e mentre la maggior parte della popolazione è ancora sotto i teloni e le casette provvisorie sono pochissime, molte aree destinate al ricovero sono ancora in fase di progettazione.
I problemi più grossi si incontrano nel reperire gli spazi necessari visto che vi sono ovunque cumuli di macerie e che è molto difficile individuare i proprietari di aree idonee ad ospitare strutture, naturalmente scontrandosi con la burocrazia e le leggi locali.
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Humanity

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humanityL'idea della cooperazione internazionale nasce intorno al 1960 quando molti Stati, soprattutto quelli africani, raggiungono l'indipendenza rappresentando sostanzialmente la fine dell'epopea del colonialismo europeo.
Circa 400 anni di colonialismo lasciano nelle ex colonie un territorio sfruttato, dove spesso l'imposizione di norme e leggi dei paesi colonizzatori hanno profondamente leso l'impianto di tradizioni radicate da millenni nelle popolazioni locali.
Se aggiungiamo a tutto ciò la grande piaga della schiavitù e lo sfruttamento smodato delle risorse naturali nei secoli di dominazione abbiamo un quadro esaustivo della situazione attuale.
Sono ormai 50 anni che il mondo occidentale ha avviato progetti di aiuto per lo sviluppo ed è forse il momento di fermarsi e riflettere sui passi compiuti per valutarne l'efficienza e l'efficacia dei risultati. Un modo per sostenere o ripagare gli ex territori sottomessi o come io credo per sentirsi come Ponzio Pilato e così lavarsi la coscienza.
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06:15 AM

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risveglioVi faccio una confessione: a chi di noi non piace stare nel letto la mattina appena svegliati, girarsi sotto sopra, rannicchiarsi in posizione fetale, stirarsi per il lungo, e poi rannicchiarsi nuovamente, tirarsi su le coperte per assorbire quel calore che solo il proprio caldo letto ti offre, giocare con le lenzuola cercando di rimetterle in ordine dopo una nottata di riposo, cercando di riordinarle come si cerca di riordinare le proprie idee.
Girarsi su un fianco a cercare chi ha fatto con te il viaggio per tutta la notte, ma che è passata in un battibaleno, invidiare il suo continuare a riposare, leggere la soddisfazione del meritato sonno ristoratore su dei lineamenti sereni e distesi ma ancora spenti, mentre le labbra gia appaiono lanciare un timido sorriso.
Aprire e chiudere gli occhi, con pigrizia sfregarseli cercando di affermare che l'ora è giunta, ed è passato da un po' di tempo il trillo della nefasta sveglia che ti richiama agli obblighi domestici.
E allora si!, ti rendi conto che la vita è una merda, che devi lasciare quel letto che per una notte ti ha ricordato il calore e l'ospitalità del ventre materno, ed ora devi prendere il coraggio, quello di tutti i giorni, superare il freddo del primo momento, alzarti e ricominciare ad attendere che torni sera, per trovare rifugio nel nido del tuo letto con te stesso e le tue meraviglie, accolto da Morfeo che rimane li ad attenderti.
Metti le ciabatte, ti stiracchi un po la schiena che ti duole e ricomincia una nuova giornata mentre cerchi di raggiungere la caffettiera.
 

Crisi in Nord Africa e nuove tecnologie

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Reality LibiaIl salotto di casa da qualche settimana è diventato una tribuna particolarmente attenta allo svolgersi di un melodramma il cui finale non è ancora stato scritto sulla partitura.
Scorrono sul palcoscenico televisivo le immagini di violenti scontri tra popolazione civile, forze di polizia ed esercito. Se passo da un canale all'altro della TV, saltando dal digitale terrestre al satellite, cambiano gli idiomi, cambia la voce ma purtroppo si vedono sempre immagini di violenza.
Il comune denominatore di tutti questi moti di rivolta è la richiesta di maggiore libertà, di democrazia, una lotta contro dittature mascherate, anche in quei paesi dal benessere effimero.
A muovere tutto, questa volta, non è la religione, non è il petrolio, ma la ricerca di un maggior benessere sociale.
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Dietro le quinte di Cuba (III parte)

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Cuba (04/2010)Mentre Wilmer si mette ai fornelli a casa di Fernando, io vado a comprare due cervezas e due gazzose. Sui fornelli cuoce il riso con i fagioli neri e in altra pentola il maiale con i peperoni e le cipolle, aggiungiamo una insalatina ad arricchire il nostro pranzo pasquale.
Wilmer si è trasformato in uno chef e con una insolita capacità, passa a curare i vari tegami con attenzione, quasi stesse danzando, da come il mestolo e i vari cucchiai passano da un intingolo all'altro.
Il tempo del pranzo scorre tranquillo in questa bella giornata, il sole è caldo ma c'è molto vento e riusciamo a far bere un goccio di rum a Fernando, mentre Wilmer si rifiuta categoricamente anche solo di odorarlo.
Lasciamo casa di Fernando per andare a fare due passi sulla bahia di Matanzas.
La cittadina è in fermento come se ci fosse sempre mercato, in centro sono comparse delle bancarelle dove artigiani locali vendono le proprie produzioni in pelle, cinture, portachiavi ecc, molte le bancarelle di profumi ed essenze e bigiotteria femminile. Passeggio tra le bancarelle incuriosito come un bambino, passo di fronte al forno del panettiere dove esce un profumo di pane caldo che mi attira tantissimo e se non avessi appena finito il pranzo mi fermerei a comprarlo per mangiarlo.
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Dietro le quinte di Cuba (IV parte)

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Cuba (04/2010)Mi sveglio la mattina presto e preparo una sacca con un po' di indumenti per cambiarmi nei prossimi giorni e carichiamo l'auto con gli acquisti fatti da Wilmer per la madre e la sorella.
Sono proprio curioso di conoscere i suoi familiari. Probabilmente incontrerò anche il padre (divorziato) che fa l'infermiere ma è sempre in giro per il centro america con l'organizzazione ALBA.
Già per uscire da Matanzas con l'auto è un avventura, i cartelli stradali sono pochi e le strade sono malmesse, ampi buchi sull'asfalto ti costringono a fare degli slalom ed a procedere non troppo velocemente.
Dobbiamo raggiungere l'autopista nacional, una specie di autostrada che negli intendimenti doveva collegare Pinan del Rio a Santiago de Cuba e Guantanamo ed invece termina a Jatibonico.
Un'opera inconclusa in tante parti, non vi sono guardrail, segnaletica, reti di protezione, incroci a raso ovunque, insomma 650 km circa di asfalto disseminata di crateri che la rendono molto pericolosa.
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Con il pensiero verso Haiti (III parte)

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L'elevatissimo numero dei morti conferma l'impressionante peso della tragedia che si è abbattuta su Haiti con il terremoto che ha devastato la capitale, Port au Prince e le città e i villaggi del sud del paese.
La catastrofe, considerata la peggiore nella storia del paese, ha distrutto edifici emblematici come il Palazzo Presidenziale e la sede del Parlamento oltre a ospedali e scuole.
Ad oggi sia il governo che i parlamentari si riuniscono in luoghi provvisori, come uffici doganali o casermette.
Dicono che il maestoso edificio del Palazzo nazionale, superba e bianchissima costruzione simbolo della nazione haitiana, si sia sbriciolato in pochissimo tempo. Un emblema che era anche il paradosso di una terra d'enorme povertà che brillava con lo stile del regale Petit Palais di Versailles.
Gli Haitiani dicono che ci sono voluti 5 anni per costruirlo ma meno di un minuto per distruggerlo.
Il palazzo nazionale era stato inaugurato nel 1918 su progetto di Georges Baussan, famoso architetto haitiano che realizzò i suoi studi nella Ecole d'Architecture di Parigi. Già nel 1912 una bomba aveva distrutto il primo edificio nazionale, durante un attentato al Presidente Cincinnatus Le Conte.
Il candido edificio a tre cupole fu realizzato su modello della Casa Bianca di Washington, benché costruito con i precetti dell'architettura francese ed ora due cupole sono implose ed una è caduta in avanti.
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Baghdad: una missione apparentemente impossibile (IV parte)

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Missione BaghdadÈ consuetudine degli abitanti vendere taniche di benzina e bombole del gas ai lati della strada, in improvvisate bancarelle, ovviamente a prezzo maggiorato. Le bombole del gas fanno veramente impressione solo a guardarle da quanto sono mal messe, ammaccate in ogni lato e sembrano essere pronte ad esplodere in qualunque momento.
Gli ospedali a Baghdad sono tanti, generalmente sono specialistici e il maggior numero di essi è concentrato in un unico quartiere; gli ospedali specialistici sono privi di pronto soccorso, qualcuno è anche privato, gestito generalmente da ordini religiosi, come il Saint Raphael, a cui facciamo visita.
È un ospedale con diverse specialità, ortopedia, ginecologia, oftalmologia e chirurgia generale ed è dotato di un bel gabinetto radiologico. Ha subito anch'esso durante questi duri anni di embargo momenti difficili sopratutto per il reperimento di medicinali anche comuni. È molto ben arredato, pulito e simile agli standard europei, di cui ne è sostanzialmente un'emanazione.
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Notte tricolore

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Mole tricoloreDa giorni avevo programmato la mia partecipazione alla "notte tricolore" che la prima capitale d'Italia aveva organizzato in occasione della ricorrenza del 150 genetliaco della nostra nazione.
Imprevisti di lavoro, stavano allontanando questo importante appuntamento, non più ripetibile per la mia vita.
Però poi i colleghi riescono ad organizzare un turno di lavoro che mi permette di assentarmi il tempo necessario per parteciparvi.
Non riuscirò certo a godermi per intero l'evento, ma sicuramente godrò appieno le poche ore che mi sono concesse, anche se con l'angoscia di un rapido rientro.
Con i cellulari ben caricati di energia, mi dirigo con occhi stanchi verso l'autostrada che mi condurrà nella capitale sabauda, non prima però di essere passato un attimo in via Vochieri, davanti alla casa natale di un giovane alessandrino che diede la propria vita a favore di quell'Italia unita per la quale io corro a festeggiarne l'anniversario.
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Con il pensiero verso Haiti (II parte)

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Haiti è un paese nel quale la mortalità infantile supera gli 80 morti ogni 1000 nati vivi, dove la speranza di vita non arriva a 60 anni e dove decine di migliaia di persone muoiono per malattie come tubercolosi, malaria, dengue. Questa improvvisa comparsa di migliaia di medici provenienti da tutto il mondo sembra come una manna caduta dal cielo.
La Bastille è un campo appena fuori Port au Prince; qui gli operatori di Oxfam sono impegnati a fornire acqua e i servizi igienico sanitari, un campo nuovo appena individuato dal governo per spostare gli attendati della capitale, ma non molto ben accettato dagli homeless creoli.
Da diverso tempo i medici e gli infermieri della Brigata Medica Cubana partono dal loro ospedale di Croix del Bouquet per raggiungere le zone più disagiate del paese come Port Salut o Lasil. Qui le telecamere mediatiche del mondo non sono ancora arrivate e con loro nemmeno le grandi organizzazioni umanitarie.
La Marché en Fer è quello che rimane del mercato in stile Liberty della capitale, costruito nel cuore della città, uno dei 12 simboli che vogliono subito ricostruire per riavviare il piccolo commercio ufficiale.
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